Editoriale

Finché vivrà la cultura mafiosa, la mafia ci inquinerà la vita

di Dino Giarrusso -


Pippo Fava era un giornalista speciale, un cane sciolto, un uomo colto e puntuto, provocatore nato, irriverente e godereccio. La mafia lo uccise fuori dal teatro dove recitava la nipote, vicino al celebre stadio Cibali di Catania. Per anni mi sono chiesto cos’abbia pensato la nipote, che tipo di emozione possa aver vissuto quando -uscita da teatro- si ritrovò non l’abbraccio di una delle persone a lei più care, ma un cadavere. E come l’incolpevole nipote dell’incolpevole Fava, un giovane originario di Castellammare del Golfo, cioè l’attuale Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, fu costretto a raccogliere il fratello Piersanti crivellato di colpi nella sua Fiat 132, a Palermo. Fra i periti dell’omicidio Mattarella vi era il professor Paolo Giaccone, un medico che qualche anno dopo si rifiutò di alterare una perizia e per questo venne a sua volta ucciso dalla mafia, lasciando nel dolore moglie e figlie. E così il dottor Livatino, giovane e coraggioso magistrato rimasto solo e freddato senza pietà, e il generale Dalla Chiesa, il dottor Falcone, Boris Giuliano, Paolo Borsellino, Pio La Torre, Beppe Alfano, Peppino Impastato, Mario Francese, Giorgio Ambrosoli, Giancarlo Siani, gli agenti delle scorte, e decine di altri giornalisti, politici, poliziotti, giudici, imprenditori e pure incolpevoli passanti. La mafia, i suoi killer, si sono mai chiesti quanto male stessero facendo ai loro figli, ai fratelli, alle mogli, a mariti, genitori, nipoti, amici? La mafia e i suoi killer, si sono mai chiesti quanto sia inutile avere un vantaggio da un omicidio se poi avrai sempre la coscienza che ti ricorda d’essere un assassino? È una domanda che dovremmo farci ogni qualvolta si parla di mafia, e in particolare nel giorno in cui si ricordano le vittime della mafia. Il Presidente Mattarella, quel ragazzo che prese in braccio il fratello assassinato, ci ha dato un bel messaggio: “la mafia può essere vinta, dipende da noi. Dobbiamo superare la rassegnazione, l’indifferenza”. Il Presidente ha ragione, va superata l’indifferenza, il disinteresse, la freddezza nei confronti di un fenomeno così violento, invasivo e fortemente radicato nel nostro territorio. Ma va anche capito, quel fenomeno. E torniamo alla domanda: come fanno i mafiosi, gli assassini che uccidono un uomo innocente sotto gli occhi dei figli o della moglie, a godersi gli eventuali vantaggi di quell’omicidio? Come fanno a dormire la notte, a sorridere, a stare coi propri figli, a guardare un film, fare l’amore o mangiare una buona granita sapendo d’essere assassini? Come si fa, mi sono sempre chiesto, a combattere ogni istante con la propria coscienza? È una domanda che dovemmo farci tutti, poiché probabilmente nella risposta potrebbe esserci la chiave per sconfiggerla davvero, la mafia. Perché dobbiamo valutare l’ipotesi che quella battaglia con la coscienza, i mafiosi non la combattano proprio. Dobbiamo ipotizzare che quella parte di coscienza che farebbe inorridire ciascuno di noi al solo pensiero di uccidere un uomo, loro non l’abbiano. Perché forse sono stati educati alla violenza, alla sopraffazione, all’ illegalità. Siamo un paese che ha sottratto la patria potestà allontanando i figli a famiglie povere, a genitori omosessuali, a chi ha avuto uno scatto di violenza o qualche episodio di dipendenza da alcol o altre droghe. Perché non abbiamo stabilito per legge, già 40 anni fa, di sottrarre i figli alle famiglie mafiose? Perché consentiamo alla educazione criminale di affermarsi e in alcune zone d’Italia dilagare addirittura? Le baby gang che imperano in alcune zone di Napoli, Milano, Torino, lo status di boss assegnato a diciottenni già esperti nella gestione di affari criminali, quei quartieri di moltissime città italiane diventati piazze di spaccio h24, l’idea inculcata in milioni di giovani che la criminalità paghi e sia un modo per diventare ricchi senza fatica… sono tutte manifestazioni dello strapotere della mafia e della sua filosofia criminale. Dunque quando ricordiamo quelli a cui la mafia ha sottratto la vita, dovremmo rispettarli davvero e non limitarci ad omaggiarli per un giorno all’anno. Dovremmo impegnarci a cambiare la realtà, a lavorare sull’educazione dei più giovani, a promuovere la cultura del rispetto e della legalità, che oggi vengono stuprate ogni giorno (ogni minuto) sotto i nostri occhi. Sennò, diciamoci la verità, il martirio delle vittime di mafia sarà un sacrifico inutile, e per colpa anche nostra.


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