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Ex Ilva, tutto da rifare: sul processo l’ombra della prescrizione

di Rita Cavallaro -


Ex Ilva, la storia infinita e le condanne annullate. Si riparte da zero nel caso “Ambiente svenduto”, il processo sulle emissioni velenose del colosso siderurgico e sul presunto disastro ambientale durante la gestione della famiglia Riva, nel periodo 1995-2012. Il dibattimento, in primo grado, si era concluso il 31 maggio 2021 con 26 sentenze di condanna nei confronti di altrettante persone, tra tutti la famiglia Riva, ex proprietaria della fabbrica, ma anche dirigenti dell’acciaieria e alcuni esponenti della politica locale e regionale. La decisione è arrivata come una doccia fredda lo scorso venerdì, quando la sezione distaccata di Taranto della Corte d’assise d’Appello di Lecce ha accolto le richieste dei difensori degli imputati, che chiedevano di spostare il procedimento penale al Tribunale di Potenza.

E i giudici di secondo grado hanno disposto l’annullamento delle pronunce già emesse e il trasferimento del processo nel capoluogo lucano perché, secondo la Corte, i colleghi tarantini non possono essere chiamati a giudicare gli imputati, in quanto vanno considerati come “parti offese” del disastro ambientale. Insomma, essendo vittime delle stesse emissioni velenose dell’ex Ilva, non sarebbero super partes nel giudicare i responsabili alla sbarra. Senza contare che gli stessi giudici, togati e popolari, che hanno emesso le 26 condanne, vivono negli stessi quartieri in cui risiedono numerose parti civili che hanno addirittura già ottenuto il risarcimento in primo grado. Non avrebbero dunque la “giusta serenità” per decidere. E pensare che una richiesta analoga era già stata respinta in una precedente fase dell’inchiesta, ma l’assunto portato avanti nelle prime udienze in Appello dagli avvocati difensori Giandomenico Caiazza, Pasquale Annichiarico e Luca Perrone, ha convinto la Corte e a nulla sono servite le repliche dell’accusa, che aveva richiamato l’attenzione su una recente sentenza con cui la Cassazione chiarisce come vada considerato parte di un processo solo chi intraprende un’azione di diritto, e nessuno dei magistrati di Taranto lo ha fatto, per cui non ci sarebbero stati i presupposti per spostare il processo.

La Corte, alla fine, ha emesso la sentenza, dichiarando la competenza funzionale del Tribunale di Potenza e disponendo la trasmissione degli atti alla procura lucana per i successivi adempimenti e la fissazione dell’inizio del dibattimento. Sul quale, però, ora pesa la spada di Damocle della prescrizione, che rischia di lasciare la vicenda ex Ilva senza una verità giudiziaria. E perfino di vanificare anni e anni di inchiesta, che il 26 luglio 2012 aveva portato al sequestro degli impianti dell’area a caldo e infine al processo “Ambiente svenduto”, a carico di 37 imputati, accusati, a vario titolo, di associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro, avvelenamento di sostanze alimentari, corruzioni in atti giudiziari, omicidio colposo e altre imputazioni. Tra le condanne, ormai tutte annullate, spiccano quelle a 22 e 20 anni di reclusione, comminate a Fabio e Nicola Riva, ex proprietari e amministratori dell’Ilva, oggi Acciaierie d’Italia, che si trova in amministrazione straordinaria ed è ufficialmente in vendita dal 31 luglio scorso.

Furono inoltre inflitti 21 anni e 6 mesi all’ex responsabile delle relazioni istituzionali Girolamo Archinà, deceduto nelle scorse settimane, e 21 anni all’ex direttore dello stabilimento di Taranto, Luigi Capogrosso. Cinque ex fiduciari aziendali erano stati condannati a pene comprese tra i 18 anni e mezzo e i 17 anni e 6 mesi. E poi la pronuncia contro l’allora presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, a cui è stata contestata la concussione aggravata in concorso. Per l’ex governatore l’accusa aveva chiesto 5 anni, ma alla fine il Tribunale aveva disposto la reclusione a tre anni e mezzo. Ora le eventuali responsabilità degli imputati dovranno essere nuovamente dimostrate davanti ai giudici del Tribunale di Potenza, che dovrà fissare la data del nuovo processo, sul quale aleggia l’ombra della prescrizione per diversi reati.


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