Politica

Europa first: la ricetta di Draghi che vuole tornare

di Angelo Vitale -


“Grazie, caro Mario Draghi”: il fermo immagine di Ursula von der Leyen e dell’ex presidente della Bce ed ex premier italiano in un recente incontro rilancia le parole della presidente della Commissione Europea sullo scambio di opinioni avuto da Draghi con il collegio dei commissari europei sulla competitività a Jodoigne, nel Brabante Vallone. “Un’occasione eccellente, dove abbiamo discusso di molte sfide e ambiti delle politiche. Non vedo l’ora di avere il rapporto, che aiuterà a portare avanti il dibattito su come rafforzare l’economia Ue”, le sue parole sui social. Un seminario a porte chiuse, quello di Jodoigne, che ha fatto seguito ad una riunione di Draghi, mercoledì scorso a Milano, con i rappresentanti di imprese e organizzazioni dell’European Round Table of Industry nella sede meneghina di Bankitalia, dove lo aveva raggiunto pure l’ex ministro dell’Innovazione del suo gabinetto, Vittorio Colao.


E ancora ieri il vertice con il presidente di BusinessEurope, Fredrik Persson, presente il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, sottolineando “l’urgente necessità di un approccio strategico alla competitività dell’Unione europea come business location e area in cui investire”. Qui l’ennesima constatazione di sfide aperte da tempo con Stati Uniti e Cina di fronte alle quali permane l’incertezza dell’Europa ad individuare una strada per contrastarle.
Questo il nodo che la ricetta di Mario Draghi si accinge ad affrontare, se non sbrogliare. “Una visione per l’economia del futuro”: questo l’oggetto dell’incarico affidato a Draghi dalla von der Leyen. Un rapporto con target la competitività – l’Ue ne chiese due anche a Carlo Azeglio Ciampi prima del suo ingresso come ministro del Tesoro nel governo Prodi nel 1996 – per il quale l’ex premier da giorni inseguito da rumors sull’ipotesi della sua nomina a presidente del Consiglio europeo alimentati sei mesi prima delle Europee, non intende prescindere dall’urgenza di assicurare una svolta all’intera manovra dell’Europa.


Quali siano le sue idee in proposito, l’ex governatore di Bankitalia l’aveva lasciato chiaramente intuire nel settembre scorso quando, in un intervento pubblicato dall’Economist, aveva rammentato come l’Europa sia di fronte a sfide sovranazionali, che richiederanno ingenti investimenti in un periodo di tempo limitato: nella difesa, per la transizione verde e per quella digitale. Rimarcando, in particolare, come, al contrario degli Usa che hanno lanciato l’Inflation Reduction Act usando la leva fiscale, l’Ue non abbia allo stato alcuna strategia federale per finanziare questi investimenti. Non adottare alcuna scelta, fa capire Draghi e lo ha ribadito a Jodoigne, significa “perdere” la propria base industriale, a favore di aree del mondo che si autoimpongono “meno vincoli”. Secondo lui, va “ridefinito” il quadro delle regole sui bilanci e il processo decisionale dell’Unione, per renderli “adeguati” alle sfide comuni. Per questo, occorre costruire un nuovo protagonismo per l’Europa, per un suo primato.

Da Bruxelles, insomma, una risposta all'”America First” di Donald Trump. Con il “trasferimento di maggiori poteri di spesa al centro” e regole più “automatiche”. Il modello è quello Usa dove gli Stati sono sottoposti a regole fiscali rigide. Per Draghi credibili, con lo Stato federale a incaricarsi della spesa discrezionale. E allora, un’Europa chiamata a “federalizzare” alcuni degli investimenti necessari per raggiungere gli obiettivi comuni che si è data, puntando a raggiungere un equilibrio simile a quello di cui beneficiano gli Usa, la cui crescita economica è decisamente superiore a quella dell’area Euro, per non parlare del predominio a stelle e strisce nei settori più avanzati dell’economia come il digitale, dove pure la Germania è debole. Riforme per “mettere insieme più sovranità”, nuove forme di rappresentanza e diverse procedure decisionali. La costruzione di “prosperità e sicurezza” che siano autonome, abbandonando le strategie del passato (“affidarsi all’America per la sicurezza, alla Cina per le esportazioni e alla Russia per l’energia”). Un quadro che è oggi “insufficiente, incerto, inaccettabile”.

L’economia europea, dal 2016 in poi, ha registrato un progressivo indebolimento, perdendo slancio e cedendo centralità nelle catene dell’offerta, a beneficio di altri Paesi (principalmente Usa e Cina, ma anche Russia): questa la premessa. “Non dobbiamo scendere a compromessi”, disse Draghi due mesi fa al FT parlando dei valori europei di fronte alle guerre in corso. Ora la ricetta per un primato europeo contro quelle economiche, più striscianti e insidiose.


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