PRIMA PAGINA – Eurabia, istruzioni per l’uso
Eurabia green. Coi soldi che prendono da noi per il petrolio e il gas, gli sceicchi stanno lavorando a diventare i top player delle rinnovabili. Le potenze mediorientali stanno percorrendo la via del green per confermare il loro primato economico (e non solo) su scala globale. Con il sogno di fare l’Eurabia mentre l’Europa, Unione solo di nome e poco di fatto, rischia grosso. Proviamo a fare chiarezza con Davide D’Arcangelo, economista, tra i maggiori esperti italiani di politiche industriali, fondi europei, corporate finance e politiche industriali, fondatore del club deal investor Next4, vicepresidente di Impatta, e presidente dell’associazione Public Innovation Manager.
Prima i sauditi con Vision 2030. Ora gli Emirati con il fondo Alterra. Cosa bolle in pentola in Medio Oriente?
“Si fa un ragionamento molto sfidante e ambizioso. E soprattutto di lungo periodo. Quelli che oggi rappresentano i più grandi player nel settore oil & gas sanno che in questo momento possono sfruttare una posizione di vantaggio. Hanno capito che il mondo sta lavorando per non dipendere più dai fossili, e quindi da loro, nei prossimi dieci o vent’anni. Ma piuttosto che aspettare che la loro fortuna finisca, preferiscono investire i soldi che guadagnano ora vendendoci petrolio e gas investendo nel green. Con l’obiettivo di ritrovarsi tra i maggiori player energetici anche quando il globo passerà alle rinnovabili, conservando un vantaggio competitivo sugli altri. Questo è il momento migliore perché si ritrovano con più soldi degli altri”.
E’ una partita già persa?
“No. Abbiamo la nostra capacità di ricerca e innovazione, una rete diffusa di conoscenza e facendo squadra, usando un po’ di vantaggio competitivo che abbiamo noi, possiamo farcela. Non hanno ancora la capacità tecnologica e produttiva che abbiamo noi. Ma coi loro capitali la stanno attraendo”.
Noi abbiamo tecnologie e reti, loro però hanno i quattrini. Riusciranno a mettere il cappello sull’ Europa, faranno l’Eurabia?
“Il pericolo c’è. Secondo me, e questa è stata tra le ragioni della nostra missione negli Emirati, bisogna trovare spazi complementari. Fare in modo cioè di trovare compratori che, da un lato, ci consentano di sovvenzionare la ricerca facendoci restare solidi e competitivi e dall’altro, acquistino rinnovabili che ci permettano di mantenere il nostro pianeta più sostenibile e meno impattato. Così facendo riusciremo addirittura a rovesciare il paradigma”.
Oltre al green, i fondi mediorientali stanno facendo shopping in Europa, in ogni comparto economico . C’è la possibilità che si tratti di un modo per “pesare” di più non solo economicamente?
“Credo si tratti di un metodo per trasferire competenze, per acquisire know how. Non escludo che possano puntare ad avere un presidio sulle attività economiche, idea che attualmente non hanno. Tuttavia è innegabile che tanti investimenti incidano anche sui decisori e sugli stakeholder del resto del mondo”.
E intanto la Ue?
“Dovrebbe essere più Unione. È evidente che la politica industriale sia diventata geopolitica, come la politica energetica è ormai politica estera. Ma ognuno si muove a modo suo. C’è chi, come i francesi, la fa con grande dinamismo e iniziativa, c’è chi, come noi, arranca. E c’è qualcun altro non viene proprio percepito. Mi piace citare Henry Kissinger: l’Europa non ha ancora un prefisso unico”.
L’Europa reggerà la transizione?
“Dal mio punto di vista è evidente che nel breve periodo questa direzione, un po’ calata dall’alto, rischia di creare disagi sociali non banali sia in termini di competenze per i lavoratori che di aziende che non avranno la capacità di switchare o di fare investimenti di ricerca verso il green. Il compito dello Stato sarà di tenere dentro le dinamiche dello sviluppo questi soggetti che rischiano di essere espulsi nel breve periodo. Ma si deve tener presente che, nel lungo periodo, la transizione sarà un percorso imprescindibile. Adesso bisognerà essere bravi a evitare sconquassi”.
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