epa11527517 A picture taken with a drone shows a construction site of an open-space photovoltaic system (solar park) close to Petershagen in the east of Berlin, Germany, 05 August 2024. According to the German Federal Statistical Office, in April 2023, around 2.7 million PV systems were supplying renewable electricity from rooftops and properties in Germany. By April 2024, approximately 3.4 million photovoltaic systems had been installed, representing an increase of approximately 30 percent compared to the previous year. EPA/HANNIBAL HANSCHKE
A tutta forza verso il baratro: le politiche sull’energia rappresentano il paradigma del fallimento progettuale dell’Europa. Tempi duri sono figli, di solito, di scelte sbagliate. Errori, sviste. Fallimenti. Di cui l’Europa è divenuta maestra indiscussa, nel nome dell’ideologia green. Che il Vecchio Continente sia in declino non è un mistero. Che produrre, nella vecchia Europa, sia diventato un lusso non è più neanche un tabù dirlo. Che le bollette pesino sui bilanci delle aziende quasi, se non più, non sorprende più nessuno. Ma come siamo arrivati a questo punto? Per colpa di una strategia che, con la scusa del futuro, s’è dimostrata più miope del mister Magoo dei cartoni animati di tanti anni fa. E che ha portato, oggi, a un dato di fatto: il gas, in Europa, costa cinque volte di più rispetto agli Stati Uniti mentre l’elettricità per gli utenti Ue costa il triplo rispetto alla Cina. Uno scenario che parla chiaro. Le ragioni che ne stanno alla base, però, andrebbero rintracciate altrove rispetto che all’inflazione. Quella che, per restare in tema di errori esiziali, è stata combattuta a furia di rialzi dei tassi e del costo del denaro e che solo adesso, quando la Germania è con un piede e mezzo nella fossa e la Francia intona il de profundis, la Bce sta iniziando ad abiurare, ma con lentezza, estrema lentezza. Oggi, nella riunione del board che si terrà a Francoforte, forse troverà il coraggio di tagliarli di un altro quarto di punto. Ma questa è un’altra storia, un altro errore, un altro chiodo sulla bara dell’Ue.
Tornando all’energia e agli errori esiziali commessi dall’Europa, i numeri e le prospettive tracciate da Fatih Birol, direttore generale dell’associazione internazionale per l’energia, raccontano il romanzo demenziale delle politiche e degli sbagli di una classe dirigente che ha consegnato l’area Ue all’irrilevanza. Tre su tutti. Il primo riguarda l’eccessiva dipendenza dalle forniture di gas russo. Materia prima a buon mercato che ha contribuito al successo commerciale della Germania prima e del resto del continente poi. Solo che, a un certo punto, è arrivata la guerra e l’Europa s’è schierata immediatamente contro il suo vecchio fornitore senza riuscire a trovare immediatamente una soluzione altrettanto economica. Il resto è storia nota che conosciamo tutti. C’è stato, per Birol, un altro errore strategico imbarazzante ossia il totale disinteresse Ue nei confronti dell’energia nucleare. Per anni, anzi per decenni, il trionfo ideologico verde ha dipinto l’atomo coi colori della morte e l’Europa ha rincorso le chimere delle fonti alternative al petrolio. Un tragico errore che alcuni singoli Stati hanno evitato, come la Francia, e altri invece hanno percorso fino in fondo, come l’Italia. E con il paradosso di ritrovarsi a dover importare energia, prodotta da centrali atomiche, proprio dai cugini transalpini. Il terzo errore è strettamente connesso al secondo, ossia alla scelta, o alla decisione, di cercare fonti alternative di energia tanto alle materie prime fossili quanto alla produzione atomica. Il guaio c’è stato quando l’Europa, a trazione tedesca, ha deciso di non puntare più sul fotovoltaico per inseguire l’eolico e altri sistemi. Che, alla lunga, non hanno pagato: le pale eoliche, per colmo di paradosso, finiscono sempre più nel mirino dei comitati territoriali per l’ambiente e per il paesaggio e, per di più, non garantiscono nemmeno una produzione soddisfacente di energia, come sta accadendo proprio in queste settimane in Germania. Il terzo errore, individuato da Birol, è dunque quello di aver abbandonato il fotovoltaico. “Vent’anni fa la Francia era leader”, ha affermato alla platea dell’Union française de l’électricité, “oggi l’80% dei pannelli arriva dalla Cina”. E, stando a quanto la stessa Aie ha messo nero su bianco nel suo ultimo report Energy Technology Perspectives, grazie alle tecnologie solari, eoliche e geotermiche Pechino entro il 2035 supererà, in termini di ricavi da esportazioni, i livelli attuali raggiunti da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti col petrolio oggi. Ma se il problema, per l’Europa, fosse solo la Cina oppure l’America sarebbe ancora accettabile, in un certo senso. Bruxelles non spicca per volontà di potenza e accontentarsi di un terzo posto dietro le due superpotenze globali sarebbe nonostante tutto un risultato da apprezzare. Ma per Birol la situazione è molto più grave di così: “L’Europa – ha spiegato il dg Aie – è chiaramente indietro rispetto a molte altre potenze economiche come la Cina, gli Stati Uniti e, in alcuni casi, anche l’India e altri Paesi”. Siamo all’anno zero: “Come possono i produttori europei, soprattutto quelli per i quali il costo dell’energia rappresenta una parte significativa dei loro costi complessivi, competere con gli altri paesi?”, si è chiesto Fatih Birol. La risposta è evidente: “L’industria europea, o più precisamente l’industria manifatturiera, sta entrando in un periodo decisivo che potrebbe avere conseguenze significative per l’economia europea, per il peso dell’Europa nella politica estera e per la sicurezza europea”. Siamo all’ennesimo bivio. La vera sfida dell’Ue sarà quella di riscattare decenni di errori, di sbagli, di programmi economici ideologici che, come la storia ha insegnato, non funzionano mai.