Economia

Elkann non va in Parlamento, la politica a Bruxelles: stop green

di Giovanni Vasso -


John Elkann non andrà in Parlamento. Almeno non ora. Ma la politica e le istituzioni non mollano: vogliono il presidente Stellantis in aula. Perché, all’indomani delle dimissioni del Ceo Carlos Tavares, restano ancora alcuni punti da chiarire. Specialmente per ciò che riguarda i livelli occupazionali e le strategie produttive negli stabilimenti italiani. Ma il confronto, almeno per adesso, non ci sarà. Il presidente della Commissione Attività Produttive della Camera dei Deputati, il leghista Alberto Gusmeroli, ha fatto sapere che Elkann, il quale “ringrazia il Parlamento per l’attenzione”, non ha intenzione di parlare in sede istituzionale almeno finché resterà in piedi il tavolo di trattative presso il Mimit “dove è stato delegato l’ingegner Imparato, a capo della regione Europa, con il pieno mandato di chiudere positivamente le interlocuzioni”. Tuttavia la chiusura non è netta perché, come ha riferito Gusmeroli, “sarà possibile individuare un momento successivo di confronto istituzionale”. John Elkann sa che deve ricostruire un rapporto che si è deteriorato. Come testimoniano le durissime parole pronunciate da Matteo Salvini. Secondo il vicepremier, il presidente Stellantis “avrebbe dovuto già venire in Parlamento e con un assegno che ricordi quanti miliardi di euro negli anni questa azienda ha incassato di denaro pubblico a fronte di quali risultati economici, quali chiusure, quali licenziamenti e cassa integrazione”. Più moderato nei toni, ma non nel merito, Antonio Tajani che invita John Elkann a considerare di avere “un dovere morale” nel “continuare a operare nel nostro Paese dopo tutto il sostegno che ha avuto quest’azienda dallo Stato”. Il vicepremier leghista, infine, ha annunciato che questa sera incontrerà il neocommissario Ue ai Trasporti, il greco Apostolos Tzitzikostas, a cui sottoporrà “anche questo dossier”. Ma per Salvini “è urgente che, a prescindere dal caso Stellantis, l’Europa nel 2025 fermi il suicidio del Green Deal e del tutto elettrico questo è fondamentale”.

Anche l’altro vicepremier, il forzista Antonio Tajani, tira in ballo l’Europa che “dovrà fare la sua parte, cambiare alcune regole; penso al blocco della produzione di auto non elettriche a partire dal 2035”. Tuttavia, Tajani un macigno dai mocassini se lo toglie e azzanna le opposizioni: “Le politiche sbagliate in maniera ambientale non sono responsabilità solo della Commissione Europea, ma anche di chi le ha votate in Parlamento dove abbiamo proposto alcune modifiche blocco alla produzione di auto elettriche dal 2035, ma sono state bocciate anche dal Partito Democratico e dalla sinistra italiana”.   Anche Giorgia Meloni ha bussato a Bruxelles e, da qualche ora, non ripete altro: “La decarbonizzazione non si può fare al prezzo della desertificazione industriale”. All’assemblea degli operatori della logistica di Alis 2024, la premier ha detto in un videomessaggio: “L’Italia è capofila in Europa di un non paper sull’automotive che chiede di rivedere quelle norme che rischiano di mettere in ginocchio l’industria europea dell’auto, e di riaffermare il principio della neutralità tecnologica. Noi siamo convinti, infatti, che vadano usate e sostenute tutte le tecnologie che contribuiscono ad abbattere le emissioni, senza chiusure ideologiche e dannose per molte filiere. E non solo: occorre insistere per rimuovere tutti quei blocchi al mercato interno che, ormai da mesi, si stanno verificando su alcuni dei principali valichi alpini e che rischiano di isolarci dal resto d’Europa. Il Governo è impegnato anche su questo e questo impegno non verrà meno”.

Ma l’Europa non ha solo Stellantis a cui pensare, purtroppo. Certo, la crisi del gruppo, oltre all’Italia, ha fatto traballare anche la Francia. Sembra un paradosso, visto con gli occhi italiani: pure i francesi “non rimpiangeranno” Tavares. Lo faranno solo gli investitori di Borsa che hanno accolto l’addio dell’ad bruciando quasi sette punti percentuali di capitalizzazione a Milano, lunedì. Una crisi, questa, che è già passata. Ma che ne svela un’altra: in un anno, Stellantis ha perso il 44% del suo valore. A Bruxelles, però, fa più paura ciò che sta avvenendo in Germania. Qui le cose si fanno ogni giorno più pesanti e la crisi Volkswagen, la casa automobilistica che più di ogni altra aveva puntato fortissimo sulla transizione all’elettrico, sta facendo montare una protesta a dir poco inedita in terra tedesca. Ig Metall, il potente (sul serio) sindacato dei metalmeccanici, ha indetto uno “sciopero dimostrativo” di due ore che si è concluso all’alba di ieri. La percentuale di adesione dal lavoro è stata clamorosa: 98mila dipendenti in nove stabilimenti sui 130mila complessivi in servizio presso le dieci fabbriche di Vw, hanno incrociato le braccia. Ma la protesta è solamente all’inizio. I lavoratori chiedono al management di non tagliare né posti di lavoro, né stabilimenti né i salari. Una sfida nella sfida, per gli operai Vw: se dovesse andare in porto il piano proposto dai dirigenti, infatti, sarebbe a serio rischio il futuro del modello stesso del capitalismo renano, quello che, per decenni, ha garantito benessere alla Germania facendone la (ex) locomotiva d’Europa, nonché un faro per tutto l’Occidente in materia di lavoro e diritti sociali.


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