Attualità

Educare all’affettività? Sì ma prima educhiamo alla vita

di Redazione -


di MARINA TOMASSETTI

Scarpe rosse, fiocchi rossi, panchine rosse, occhi segnati di rosso; rosso come il colore con cui chiaramente e inequivocabilmente ci si dichiara contro ogni tipo di violenza contro le donne; Arcobaleni colorati, bandiere arcobaleno, abiti arcobaleno a manifestare la contrarietà ad ogni tipo di omofobia, lesbofobia, bifobia o transfobia; Fiocco nero e pugno serrato per lottare contro il razzismo; e ancora immagini simbolo della lotta contro l’intolleranza religiosa, contro il bullismo o il cyberbullismo e, altro, altro ancora…
Senza dubbio la rappresentazione simbolica di cui ci serviamo per veicolare messaggi importanti o rappresentare circostanze, principi, valori, è uno strumento imprescindibile attraverso il quale riusciamo facilmente ad imprimere in un’immagine un pensiero, un’idea che diviene così immediatamente fruibile, comprensibile e dunque recepibile oltre che universalmente riconoscibile.
Sfruttando al meglio un intento d’ispirazione iconografica ci facciamo portatori di messaggi inequivocabili:

Le Donne non si toccano; La Libertà appartiene all’uomo; Siamo tutti uguali; generati alla vita, lasciati liberi di esprimere il proprio essere e portatori degli stessi diritti in ogni luogo ed in ogni tempo; Ripugniamo ogni forma di violenza fisica, psicologica, mediatica, ipotetica, presunta o realistica…

Mi chiedo però: Quando con queste scarpe rosse, arcobaleno, nere o chissà quale altro colore, cammineranno o si muoveranno donne o uomini in grado di trasformare in azione pensieri tanto altisonanti? Quando bandiere saranno sventolate per gioire di gesti tesi a migliorare la qualità del nostro vivere, del nostro essere individuo o collettività?

Manifestare è un diritto sacrosanto di ogni essere umano ma, quando il pensiero è discordante dall’agire quotidiano, dalla messa in pratica di concetti, principi basici che dovrebbero far parte del nostro corredo genetico, beh allora la storia si complica.

E allora ecco che, manifestiamo per i nostri diritti o contro ogni tipo di oppressione, vessazione, schiavitù e poi montiamo cariche contro coloro che sono chiamati a tutelare l’ordine perché,  tu sei libero di manifestare i tuoi pensieri , quello in cui credi ma non di violare la proprietà altrui distruggendo automobili, attività commerciali, patrimoni artistici e culturali che appartengono a tutti; ci vestiamo da paladini della giustizia ma, persino nei palazzi del potere c’è chi ci rappresenta urlando gli uni contro gli altri; c’è chi si diverte ad umiliare il “gentil sesso” denigrandone l’intelligenza o sottolineandone qualità meno intellettive; c’è chi sventola una bandiera, se ne fa portavoce e al buon bisogno si veste di un altro colore, di un altro pensiero, proponendo una propaganda ideologica mai congruente ad un pensiero onesto e, per me anche l’offesa dell’intelligenza altrui è una forma di violenza molto mortificante.

Siamo sconvolti da notizie di violenza ordinaria o straordinaria come nel caso della povera Giulia Cecchettin ma, siamo difficili all’ascolto empatico di chi vuole aprirsi, confidarsi o magari anche solo non verbalmente trasmetterci informazioni che dovrebbero allarmarci. Mal volentieri digeriamo quel che è dissonante al nostro modo di essere e trasformiamo in guerra ogni ipotesi di confronto e, così la violenza non fa altro che generare altra violenza, un’azione una reazione e così via, lungo un circolo vizioso in cui a perdere siamo tutti: persone, pensieri, ideali, sogni.

Siamo terribilmente più inclini alla non tolleranza piuttosto che all’accoglienza. E pensiamo di poter confinare la violenza in un concetto di genere? Femminile? Maschile? La violenza non è femmina, non è maschio ; la violenza è umana, probabilmente generata dalla nostra evidente incapacità di elaborare e gestire pulsioni, emozioni, pensieri più grandi di noi.

Quando penso a tutto quel che quotidianamente viene propinato riguardo a questa o quella notizia di cronaca nera, forse troppo ingenuamente ed in maniera magari troppo semplicistica, mi viene di rivolgere il pensiero a mia figlia a cui, non riesco a far accogliere una negazione e, dico una.

Incredibile quel che un NO riesce a scatenare nei bambini; reazioni oppositive che con fatica noi adulti riusciamo a gestire senza subire una buona dose di frustrazione, inadeguatezza e anche sinceramente ansia. Io dico NO, BASTA e, lei si getta a terra, piange, si dispera, strappa i suoi fragili capelli e poi si scaraventa sui miei, mi morde, mi scaccia, mi distrugge per poi ricostruirmi poco a poco…

Lei è una bimba di soli due anni, sta imparando a gestire le sue emozioni ed io a fatica, cerco di essere il suo contenitore sperando di riuscire a fare un buon lavoro ma, certo è che, il messaggio che le arriva dai miei comportamenti è quello che fisserà nel suo rapido e costante apprendimento.

Domani riceverà NO meno affettivamente riconoscibili e accettabili ma necessari e allora quale sarà la soglia di tollerabilità che potrà sopportare? Voglio dire, “non sempre potrà distruggere e poi ricostruire; non tutto si può ricostruire…” Mi rendo conto che siamo veicolati da messaggi totalmente fuorvianti che ormai degenerano quotidianamente nella legittimità ad oltrepassare ogni limite dettato da una condotta etica e morale universalmente riconosciuta, ammesso che ne esista ancora una.

E quando una delle 103 donne uccise da inizio anno, perde la vita allora ci si interroga sul dove abbiamo sbagliato, chi abbia sbagliato e perché. Quando la mano che ha inferto la triste fine ad una delle nostre sorelle è certa, abbiamo un nome, un’identità, un colpevole ed inveire contro l’orrore da lui generato è quasi liberatorio per ciascuna delle nostre alterate coscienze ma, siamo parte del tutto e del tutto questo figlio assassino fa parte. Non è un problema che riguarda gli altri, ci chiama in causa tutti.

Educazione all’affettività nelle scuole? Sì, certo e nelle famiglie magari, ed in ogni luogo in cui si stabilisce una connessione attiva tra il bambino e l’adulto, in ogni contesto all’interno del quale si avvia la trasmissione di contenuti di conoscenza laddove l’apprendimento venga esperito secondo criteri di congruità tra sapere e saper fare e direi EDUCAZIONE ancor prima.

EDUCARE ALLA VITA ANCOR PRIMA!!!

Nel 1958 Aldo Moro, uno dei padri della Repubblica Italiana introdusse lo studio dell’educazione civica nelle scuole medie e superiori, probabilmente sperando di garantire allo Stato e a questa terra, uomini e donne educati alla conoscenza ed al rispetto della vita civica, culturale e sociale; nel 1990 la materia venne soppressa per poi esser reintrodotta nel primo e secondo ciclo d’istruzione nel 2020. No, questa informazione non si accorda al femminicidio di Giulia Cecchettin ma è solo un piccolo esempio che denota secondo me alla perfezione, lo scarso valore che l’essere umano rivolge all’acquisizione di regole volte al rispetto della vita, della dignità e del bene comune.

Come se imparare a rispettare l’altro da noi fosse una inaccettabile limitazione alla nostra libertà e, imporsi prevaricando sia la giusta modalità di normalizzare la nostra essenza. Sarebbe forse opportuno smetterla di assegnare colpe mentre ci eleviamo a giudici senza macchia e senza peccato, assumendo invece le responsabilità a ciascuno spettanti.

Evitiamo di procrastinare; fermiamoci e diamo valore e tempo a quel che chiede tempo: il dialogo, le relazioni interpersonali, l’ascolto. Usiamo conoscenza e coscienza nell’edificare gli uomini e le donne del domani, assumendoci la responsabilità del disastro causato dall’attuale desertificazione delle coscienze che vede esseri umani telematicamente connessi ma empaticamente scollegati.

Se Cappuccetto Rosso avesse intuito le malevole intenzioni del lupo, dopo esser stata ragguagliata dalle raccomandazioni della mamma, non si sarebbe certamente fermata a conversare con lui nel bosco e per di più da sola ma, avendo acquisito la pericolosità del transitare in un bosco da sola e senza sicurezza probabilmente avrebbe preso un’altra strada.

Se l’indole, l’essenza di una persona si palesasse a noi nell’immediata circostanza in cui la incontriamo non staremmo qui a chiederci come la vittima riesca a rimanere intrappolata nella ragnatela che consciamente o inconsciamente qualche ragno ha tessuto per lei. Siamo milioni di milioni di esseri umani e ciascuno nella propria unicità è interconnesso all’altro da un grande mistero chiamato vita, mistero che va accolto e lodato e di cui è obbligo aver rispetto, cura e amore.

Se ciò che ci rende coscienti è l’esperienza del fare, del sentire, del percepire, non credo si sia mai totalmente in grado di individuare prontamente la direzione che prenderà un incontro, un dialogo, una relazione; poiché le variabili a cui questo avvicendarsi di circostanze può legarsi sono pressoché infinite ma se il linguaggio adoperato per creare qualsiasi tipo di incontro, rapporto o relazione nasce da radici comuni , presuppone apprendimenti univoci basati sul concetto di rispetto ed amore per la vita , ogni connessione che ne nascerà sarà orientata al fiorire e non al recidere.

Le fiabe, come quella di Cappuccetto Rosso sono dei veicoli, proprio come i simboli di cui in principio parlavo, aiutano i bambini a scoprire il proprio mondo interiore ed emotivo, attraverso una forma giocosa lo aiuta a comprendere ed elaborare i propri e gli altrui sentimenti anche quelli più complessi.

Ecco allora cosa farò stasera, mi prenderò del tempo e racconterò la fiaba di Cappuccetto rosso alla mia piccola Gioia ma, credo che apporterò delle modifiche creative al tradizionale racconto. Le parlerò di un cacciatore divenuto Guardiano del bosco, un bosco bellissimo e rigoglioso all’interno del quale i lupi sono liberi di vivere e crescere secondo la loro natura ma, dove i bambini non possono passeggiare da soli. Le racconterò che la nonna va amata, non abbandonata e se malata, accudita e trattata con cura e dedizione ma, mai mettendo in pericolo la sua vita o la nostra; le dirò che nessuna mamma lascia sola la propria bimba fin quando è piccola e indifesa ma, anzi la accompagna tenendola per mano, guidandola e  aiutandola a discernere il giusto da quel che non lo è affinché in un futuro possa operare da sola delle scelte sagge e non pericolose per sé stessa o per altri; Solleticherò la sua fantasia immaginando le infinite strade che potrà scegliere di percorrere una volta grande ed esperta per poter giungere a casa della nonna o di chiunque altro senza paura di dover incontrare pericoli od insidie, perché avrà imparato a riconoscere che l’amore sa sempre trovare la strada giusta


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