Editoriale

DALLE TENDE ALLE STALLE

di Tommaso Cerno -


Fior fiore di speculatori stanno scendendo in Italia dal nord dell’Europa. Prevedono che in autunno ci saranno 80 miliardi di crediti da comprare a quattro soldi per guadagnarci un sacco. In quel mallopp i debiti e i mutui, vale a dire la vita quotidiana delle aziende e la casa di molti italiani, che con i tassi in impennata e la crisi economica non potranno più pagare le rate che avevano sottoscritto prima di scoprire che in Europa a ogni battere di ciglia avrebbero scaricato sulla gente comune i debiti per le loro politiche finanziarie che stanno impoverendo la base sociale del continente e che hanno arricchito pochissimo miliardari. Anche in Italia c’è chi si sfrega le dita, sapendo che la povera gente sta per dargli il prossimo grande business su cui mangeranno avidamente. Forse è di questo che la politica dovrebbe parlare, stavolta prima che sia successo. Anche perché se per il caro affitti nei centri delle città, dove ci sono le grandi università, migliaia di studenti stanno in tenda per protestare, di fronte al disastro sociale di quello che sta per succedere fra settembre e ottobre e che tutti gli analisti di Borsa e tutti i consulenti dei fondi ormai sanno bene, perché ne parlano a pranzo e a cena con chiunque da due mesi, c’è da immaginare la più grande tendopoli di incazzati che la storia dell’Occidente ricordi. Con la differenza che per gli studenti una soluzione c’è, non definitiva, non sufficiente ma a portata di mano. Per questo maremoto finanziario, tutto sulla testa di chi ha di meno, servirebbero 10 Finanziarie italiane solo per fermare l’effetto domino che già si annusa nell’aria quando sei abituato a sentire prima certi odori. Il problema è che questa volta la botta arriverà alla vigilia delle elezioni europee. E forse c’è pure chi fra questi speculatori ci sta pensando seriamente a creare le condizioni perché l’effetto si moltiplichi e diventi favorevole a ingrandire il business. Perché le premesse sono storiche. Con una guerra in corso e con gli Stati Uniti di Biden che giocano sull’effetto default una partita a scacchi fatta di tanti zeri nei terminali e di tanti missili a bordo delle portaerei nello Stretto di Taiwan, l’ondata di risulta sulla costa europea sarebbe ben più devastante di quanto abbiamo visto negli ultimi 50 anni almeno. È chiaro che in un Paese dove il problema è di che colore il Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni si veste per incontrare il Papa non dentro il Vaticano, dove vigono le sue regole e dove comunque la prassi pontificia era già stata rotta da donne di potere, ma addirittura sul territorio italiano, dove a quanto risulta ci si può vestire un po’ come diavolo si vuole, sarà molto difficile che almeno stavolta il terremoto finanziario che sta per colpire centinaia di migliaia di famiglie e aziende italiane venga annunciato in anticipo e combattuto con una nuova ricetta prima che la Bce utilizzi i suoi metodi arcaici, che come stiamo provando sulla nostra pelle sono scritti nei libri di un’economia tolemaica quando ormai il pianeta vive nell’era copernicana del denaro e degli affari. Qui non c’è differenza tra destra e sinistra, perché la voce che si dovrebbe alzare è quella del Paese, impegnato però in un dualismo estenuante su ogni sciocchezza, su ogni parola, su ogni proposta. L’habitat migliore per le aggressioni dei mercati finanziari, che non trovano terreno più fertile di una politica abituata ormai solo a mettere pezze, quando il danno è fatto. Pezze fra l’altro insufficienti per lo stato miserando dei conti pubblici che ci troviamo. Eppure arriverà. E sarà durissima. E ancora più bizzarro sarà per l’ennesima volta passarci in mezzo, contare morti e feriti, guardarsi indietro come stiamo facendo da più di vent’anni e dire le due cose che in Italia si sentono ripetere sempre: non deve succedere più, è un’emergenza che non potevamo prevedere. Una balla. Alla stregua di quelle sull’ambiente, sul ritardo dei lavori pubblici, sulla burocrazia che non si riesce a contenere. È una questione di interessi. Più grandi del mandato popolare. E questo è il vero problema per cui c’è l’obbligo stavolta di denunciarlo, di pretendere che la politica ne parli, di dimostrare che la parola democrazia non la usiamo solo per organizzare convegni e proteste Ma perché siamo ancora convinti che il popolo sia sovrano.


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