Eco-ansia: le ripercussioni psicologiche dei cambiamenti ambientali
Eco-ansia: le ripercussioni psicologiche dei cambiamenti climatici.
L’analisi di LINDA DE ANGELIS*
Al “Giffoni Film Festival”, una ragazza con la voce rotta dal pianto ha nei giorni scorsi rivolto al Ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin le seguenti parole: “(…) soffro di eco-ansia e alle volte penso che non ho un futuro, perché la mia terra brucia… in questi giorni in Sicilia sta bruciando tutto… io non so se voglio avere figli… Voi parlate di 2030… 2050… obiettivi che sento lontani… non ha paura per i suoi figli, i suoi nipoti?”. Il Ministro è riuscito a stento a rispondere, anche lui visibilmente commosso.
Queste parole ci restituiscono un’immagine chiara e reale di come la paura e lo stress legati alle conseguenze del cambiamento climatico e ambientale stiano impattando sulla collettività, in particolare colpendo i più giovani, che risultano maggiormente coinvolti nello sperimentare questo tipo di malessere (Hickman et al., 2021) sia per il fatto di essere in prima linea coinvolti nella lotta contro i cambiamenti climatici, sia a causa della sovraesposizione mediatica che inevitabilmente ne deriva.
Sebbene ad oggi non sia annoverata all’interno del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM5), l’American Psychological Association (APA) ha definito l’eco-ansia come la “paura cronica del disastro ambientale” (2017); mentre l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha lo scorso anno posto in evidenza le principali interconnessioni tra il cambiamento climatico e la salute mentale.
La paura legata alle devastazioni causate dai cambiamenti climatici e la percezione del pericolo che possano ripetersi e coinvolgerci, possono provocare un disagio emotivo persistente che, oltre una certa soglia, può arrivare a sua volta a causare ansia, depressione, disturbi stress-correlati come il disturbo dell’adattamento e il disturbo da stress post-traumatico, arrivando anche a correlare con l’aumento del rischio di suicidio, quest’ultimo legato in particolare al fattore dell’aumento delle temperature (Thompson et al., 2018).
Con uno sguardo al nostro Paese, in queste ultime settimane stiamo assistendo ad eventi climatici “straordinari” rispetto alla storia climatica del nostro territorio. Certamente, gli eventi “straordinari” sono sempre avvenuti, ma quando la frequenza s’intensifica e lo spazio temporale tra un evento e l’altro si riduce, ciò che è stato percepito come “straordinario” diventa sempre più ordinario e normale, almeno da un punto di vista statistico e oggettivo.
Tutt’altra questione si apre in una prospettiva psicologica, immaginando di dover passivamente tendere a “normalizzare” di pari passo con gli eventi ambientali, tutti quegli stati affettivi come paura, senso di impotenza, insicurezza e imprevedibilità connessi con calamità naturali ineluttabili e che per di più derivano dalle condotte sconsiderate e dalle logiche predatorie adottate dall’uomo, che continua a sfidare la vita e la sopravvivenza dell’umanità stessa depredando e sfruttando la Terra come se questa fosse in qualche modo scollegata e “terza” rispetto a noi.
Glenn Albrecht (2019) descrive l’eco-ansia come “la sensazione generalizzata che le basi ecologiche dell’esistenza siano in procinto di crollare”, cogliendo in maniera vivida la sensazione che molti di noi provano rispetto al fatto che l’ambiente e la natura, che sostengono la nostra stessa vita, stiano di fatto mollando la presa.
La riflessione che ne deriva è se può essere ancora tacciabile di essere visionaria ed utopistica l’aspirazione al raggiungimento di una consapevolezza globale capace di far maturare almeno la volontà di cambiare rotta. Mentre sotto agli occhi interi territori vanno distrutti a causa di incendi, siccità, inondazioni, bombe d’acqua, tifoni, grandinate, con conseguenze economiche e psico-sociali disastrose per l’intero Paese, e mentre su scala globale assistiamo a quel lento processo di modificazione del territorio a causa dell’innalzamento del livello del mare, dell’inquinamento, della deforestazione, della desertificazione, vale la pena indubbiamente chiedersi come fare la propria parte, agendo in linea con i propri valori ma anche imparando a limitare al tempo stesso gli effetti negativi sul piano psicologico, con adeguate strategie di coping. Interventi di educazione ambientale si pongono tanto più urgenti proprio con riferimento ai più giovani che, dopo un triennio già contrassegnato da tutte le conseguenze della pandemia sul piano psicologico, meritano di recuperare, sviluppare e mantenere una “speranza costruttiva” (Ratinen e Uusiautti, 2020) verso la vita e verso il futuro.
*Psicologa Clinica
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