Giustizia

Ecco perché Raho deve dimettersi

di Francesco Da Riva Grechi -


L’ANALISI – ECCO PERCHE’ RAHO DEVE DIMETTERSI

Negli ultimi mesi il lavoro della Commissione antimafia è stato gravemente turbato dall’esplosione del caso di dossieraggio che ha riguardato gli accessi alle informazioni riservate degli archivi della Direzione Nazionale Antimafia eseguiti dal tenente della Guardia di finanza Pasquale Striano e dal pubblico ministero Antonio Laudati. Il 24 settembre si è svolta l’udienza cautelare a Perugia, competente per territorio, e il Tribunale del Riesame, per la seconda volta, ha negato la misura degli arresti domiciliari a carico del tenente Striano e del pubblico ministero, oggi in pensione, rinviando alla prossima udienza, che si terrà il 12 novembre.

Tre sono gli elementi di riflessione.

1) L’importanza mediatica e anche giurisdizionale assunta dalla fase cautelare, anteriore al dibattimento, che non era prevista al momento dell’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale.

2) La presenza vistosa delle esigenze cautelari e quindi dell’opportunità di soddisfare la richiesta di arresti domiciliari avanzata dalla Procura di Perugia, nella persona di Raffaele Cantone, se non per entrambi gli indagati, almeno per Pasquale Striano.

3) L’estraneità ai fatti del Procuratore Antimafia di allora Federico Cafiero de Raho, oggi vicepresidente della stessa Commissione Antimafia, in qualità di parlamentare del Movimento5S, che implica una riflessione circa le sue dimissioni chieste a gran voce dalla maggioranza di governo.

Sul primo elemento occorre riflettere anche per una riforma del codice di procedura, sia per tenere conto degli impatti mediatici sulla politica e sui processi in corso di qualsiasi notizia riguardi iniziative giudiziarie, anche solo nelle fasi preliminari, a carico di politici, sia per la schizofrenia della tempistica e del continuo rincorrersi tra procure e tribunali, da una parte, e giornalisti e politici, dall’altra. Tutto questo induce a lasciare nei cassetti fascicoli importanti per mantenere segreti d’indagine anche troppo a lungo, intralciando la serenità del lavoro dei PM.

Sul secondo elemento, sembrerebbe a chi scrive, che pur non ha effettuato accessi di nessun tipo e non conosce direttamente il fascicolo, che le richieste della Procura siano condivisibili. Alla chiara possibilità di reiterare il reato e di inquinare le prove, a carico del tenente Striano, si è aggiunta infatti la pubblicazione di un quotidiano che ha riportato un’intercettazione testuale – “piglio un aereo e vado“ – a confermare anche il pericolo di fuga. La vera ragione del rigetto non è dato conoscere e si può solo ipotizzare che il Tribunale abbia agito in questo modo perché i gravi indizi di colpevolezza “ascrivibili a entrambi gli indagati” hanno un ruolo diverso ai fini del rinvio a giudizio, nel qual caso non c’è effettivamente distinzione tra i due indagati, ed ai fini della sussistenza delle esigenze cautelari, che invece differiscono da un indagato all’altro perché nel frattempo il PM Laudati è andato in pensione.

La richiesta della Procura sostiene che entrambi “sono stati ritenuti integrare gravi fatti di inquinamento probatorio in grado di danneggiare la genuinità del cospicuo compendio probatorio già acquisito” ma la posizione di Laudati doveva essere stralciata. E allora la ragione dovrebbe essere un’altra: poiché era stato lo stesso Cantone a rivelare, in audizione in Commissione parlamentare antimafia, che dal 2019 al 2022 Striano aveva scaricato decine di migliaia di file dalle banche dati della Dna, oggi sembra più di 200.000, potrebbe essere lecito, anche se nulla è ancora apparso alla luce del sole, congetturare un conflitto tra magistrati. E questo ci porta al terzo elemento: le dimissioni di Cafiero de Raho, opportune per un conflitto d’interessi clamoroso, sia in qualità di vicepresidente attuale della Commissione, conflitto politico, sia nella qualità di Procuratore Nazionale Antimafia all’epoca dei fatti, conflitto tra procure e tra procuratori.


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