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Ecco come Favrin ha “incastrato” gli eredi Marzotto

di Ivano Tolettini -


La storia del manager Antonio Favrin che si è fatto imprenditore di successo, con l’acquisto di uno dei principali brand internazionali come la Marzotto, fondata quasi 190 anni fa, è degna di un manuale di strategia industriale. Parte all’inizio degli anni Duemila quando l’ingegnere oggi 86enne dopo avere guidato per diversi lustri la Zignago Holding – dov’era entrato ragazzo nel 1965 -, altro grande gruppo industriale del valore miliardario quotato in Borsa di cui oggi sono al timone la sesta generazione dei Marzotto (Gaetano, Stefano, Nicolò e Luca, ramo Vittorio Emanuele), venne destinato dall’allora capo della blasonata casata vicentina Pietro Marzotto alla presidenza dell’azienda del tessile-abbigliamento di Valdagno, che all’epoca comandava anche in Valentino e Hugo Boss. Favrin, cresciuto secondo la filosofia dei Marzotto “sua texit labor fata”, il lavoro tesse i destini, fu premiato con un pacco di stock option. Quindi con il banchiere Segre perfezionò il contratto che gli consentì dapprima di rilevare il pacchetto azionario di Paolo Marzotto nell’azienda di famiglia, con una ricca plusvalenza, quindi acquistò pure la partecipazione di Matteo e Diamante Marzotto nella cassaforte Trenora, salendo così al 40%. Il rimanente 60% era però controllato da Manifattura Internazionale (MI) di Andrea Donà dalle Rose e delle sorelle Rosanna e Isabella – figli di Italia Marzotto – per il 40%, mentre il rimanente 20% da Vittorio Marzotto, fratello di Matteo e Diamante. Dunque Favrin con la finanziaria di famiglia Faber Five era in minoranza, pur governando l’azienda con il figlio Davide amministratore delegato e la figlia Federica nel Cda. Il colpo da maestro lo fece quando con preveggenza stipulò l’accordo con Andrea Donà dalle Rose per blindare il gruppo Marzotto, facendo inserire la clausola del “change of control”, il cambio di controllo, nello statuto della finanziaria Manifattura Internazionale riguardo solo al pacchetto di azioni (il 40%, quello decisivo) che partecipavano Trenora, la cassaforte che possiede il 52% di Wizard, controllante della maison fondata nel 1836. A questo punto sono degni di una dynasty i retroscena maturati negli ultimi mesi dietro il clamoroso passaggio di proprietà che ieri [/CAP-5-SETT][IDE-TESTO]L’identità ha raccontato in esclusiva, in seguito ai quali i Donà dalle Rose hanno perso alle buste il controllo del gruppo di famiglia che nel 2023 ha fatturato 400 milioni di euro (53 milioni di ebitda), dà lavoro a più di 3 mila persone ed ha stabilimenti oltre che a Valdagno e Biella, in Repubblica Ceca, Lituania, Tunisia e in altri Paesi. Infatti, dopo la morte nel 2022 di Andrea Donà dalle Rose che possedeva il 51% delle ordinarie di MI (mentre gli eredi della sorella Rosanna e l’altra sorella Isabella avevano il 49%, ma l’80% delle privilegiate) si è verificato quello stallo preventivato da Favrin perché il figlio di Andrea, il 28enne Lodovico, designato dal padre a rimanere l’azionista di riferimento con le sorelle Camilla e Benedetta, è entrato in rotta di collisione proprio con il vecchio timoniere. E da statuto l’ingegnere ha fatto valere la clausola del diritto di riscatto del cambio di controllo, spargendo la voce che avrebbe ceduto le quote, dopo avere fatto nominare l’arbitro che ha fissato un prezzo indicativo equo del 40% di MI in Trenora. Una genialata. Mentre Lodovico ha messo nella busta depositata al notaio Marchetti di Milano un massimo di 32 milioni di euro, la Faber Five dei Favrin ha inserito solo 10 mila euro in più e si è aggiudicato il controllo del gruppo e di Ratti spa che è quotata. Adesso potrebbe sborsare altri 16 milioni per rilevare da Vittorio Marzotto il suo 20% in Trenora, qualora decidesse di vendere. Si può immaginare la delusione non solo di Lodovico Donà dalle Rose, che progettava il futuro della settima generazione nella stanza dei bottoni della Marzotto, ma anche degli altri rami della famiglia anche se non direttamente impegnati, perché se il giovane rampollo avesse chiesto soccorso ai cugini di Portogruaro della Zignago, ma non solo a quelli, avrebbe avuto tutta la liquidità per far rimanere l’azienda sotto il controllo della famiglia. I Donà dalle Rose mantengono solo il 28,7% in Wizard, mentre il rimante 19,3% è in capo a Simon Fiduciaria degli eredi delle figlie di Giannino Marzotto. Di certo come insegnava il grande Gaetano junior, se è vero che il lavoro tesse i propri destini, è altrettanto vero che ci vogliono anche umiltà, dedizione e quel pizzico di furbizia che si leggono nella storia di successo di Antonio Favrin


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