E allora restituiteci i soldi del canone
Sanremo invaso dalla pubblicità nonostante vada in onda sulla Rai per la quale si paga il canone. Che la si guardi o meno
A parte la musica, gli ospiti, i co-conduttori e i fiori, il Festival di Sanremo ha avuto anche un altro protagonista, forse il principale a giudicare dal tempo che ha occupato sugli schermi degli italiani pur essendo sostanzialmente assente dal palco dell’Ariston. Tutte le performance, canore e no, così come i consueti collegamenti con i ‘palchetti’ satellite posti all’infuori del celebre teatro sanremese, sono state infatti puntualmente intervallate dall’incombere della pubblicità. Pause lunghissime, estenuanti, scadenzate e immancabilmente presenti, si sono avvicendate alla diretta, quasi raddoppiando la durata delle cinque serate della settantacinquesima edizione del Festival. Anche la forsennata corsa di Carlo Conti per far sì che la scaletta fosse rispettata, nel tentativo di evitare serate fiume come quelle della gestione Amadeus, ha trovato uno scoglio insormontabile nelle interruzioni imposte da quelli che Maurizio Costanzo, per addolcire la pillola, presentava come consigli per gli acquisti. Premesso che durante uno show così lungo, che dalla prima serata si dilunga fino a notte inoltrata, avere il tempo di qualche pausa può certamente risultare piacevole, che il più importante appuntamento annuale ospitato dalla tv pubblica sia letteralmente invaso dall’alternanza tra pubblicità e messaggi promozionali, offrendo la possibilità – in molti casi il vero e proprio desiderio – di alzarsi dal divano per svariati minuti ogni quarto d’ora, è dilaniante oltre che ingiustificato, perché paghiamo il canone. E non per scelta, per legge. Senza dubbio, quella del Festival della canzone italiana è una vetrina di prestigio che offre un’imparagonabile possibilità sia a chi vuole sponsorizzare i propri prodotti che a chi, nel caso di specie la Rai, ne approfitta per far cassa. Ma è pur vero che non si possono tenere persone di tutte le età incollate alla televisione fino alle prime ore del mattino in nome della pubblicità, soprattutto se la visione di determinate reti è soggetta al pagamento di un’imposta. E non solo da parte di chi su quei canali si sintonizza, ma anche di tutti quanti li evita accuratamente, preferendo scegliere – liberamente e non per un’imposizione legata al possesso di un televisore – di pagare per guardare ciò che preferisce su altre piattaforme. O di non pagare affatto per sintonizzarsi sulle reti non solo esenti dal canone, quindi gratuite, e che si sovvenzionano attraverso la pubblicità. Ora, delle due l’una: o la Rai continua a essere sovvenzionata dagli italiani in quanto servizio pubblico, oppure, come in molti vorrebbero e qualche partito politico chiede, si finanzia attraverso la pubblicità come ogni altra rete commerciale. Di certo, però, incassare il canone e contestualmente bombardare i telespettatori di réclame è un giochetto che inizia a stancare, tanto più che nel caso specifico del Festival di Sanremo la trasmissione dell’evento e i relativi diritti non sono neanche soggetti a una gara pubblica. Questione questa sulla quale, inoltre, incombe una recente sentenza del Tar della Liguria che ha dichiarato illegittimo l’affidamento diretto alla Rai. Pur tralasciando questo aspetto, dopo essere stati bombardati da più pubblicità in cinque giorni della scorsa settimana di quella in cui si incappa in sei mesi di full immersion davanti alla tv, le posizioni di chi si oppone al canone appaiono tanto più giustificate e il paradosso è che sembrano esserlo anche a chi, come noi, non la pensava così. E allora, restituiteci il canone.
Torna alle notizie in home