Draghi ora parla di vittoria o sarà il panico
di GIUSEPPE MASALA
Capita davvero raramente di leggere articoli della stampa mainstream per i quali vale davvero la pena spendere il prezzo del giornale cartaceo.
Oggi (ieri, ndr) Il Sole 24 Ore pubblica uno di questi articoli: si tratta di una preziosa prolusione di Mario Draghi l’Amerikano nell’ambito della consegna al Massachusetts Institute of Technology del Miriam Pozen Prize del quale è stato insignito.
Verrebbe da pensare, dato lo smalto dimostrato da Draghi, che in questi mesi di eremo umbro abbia ritemprato l’animo (dopo la bocciatura alla Presidenza della Repubblica) ed ora sia pronto a combattere nuove battaglie.
Si è trattato di una prolusione davvero ad ampio spettro, quasi un bilancio di questi trenta anni di globalizzazione, di integrazione europea e di presunta Pax Liberale Americana. Un bilancio non privo di autocritica, e questo fa davvero onore a Mario Draghi, anche se, mi permetto di dire, non lo solleva dalle personali responsabilità politiche essendo stato uno dei massimi architetti dell’ordine che ha regolato il mondo in questi decenni.
Anni di globalizzazione dove a detta di Draghi: «Supponevamo che le istituzioni che avevamo costruito, insieme ai legami economici e commerciali, sarebbero state sufficienti per prevenire una nuova guerra di aggressione in Europa. E credevamo che le banche centrali indipendenti avessero padroneggiato la capacità di limitare le aspettative di inflazione, al punto da temere una stagnazione secolare».
In pratica quella di Draghi è una piena confessione che l’Unione Europea (e la moneta unica) sono state basate su assunti sbagliati che ci hanno portato alla guerra alle porte dell’Europa.
Ovviamente non può dire la causa principale del fallimento che è legata certamente all’accrescimento dei legami economici e commerciali (come li chiama lui stesso): il problema è che questi legami economici e commerciali non erano equi, ma erano sfacciatamente vantaggiosi per qualcuno e enormemente dannosi per altri.
Ovviamente non c’era alcun problema; fino a quando a subire il colonialismo (tale era di fatto) nord europeo erano i paesi del sud europa. Ma quando la situazione è diventata insostenibile per gli USA e per la Gran Bretagna la musica è cambiata.
Washington e Londra hanno fatto saltare in aria tutto demolendo il meccanismo perfetto che la Merkel aveva costruito a vantaggio della Germania e degli altri stati nordeuropei: fine dell’energia a basso costo dalla Russia e fine del mercato di sbocco della stessa Mosca, sempre a causa delle sanzioni.
Da questo si ha anche la fine della leggenda che le politiche monetarie delle banche centrali riescano a garantire potere d’acquisto stabile alla moneta: questo è avvenuto a causa dell’esplosione dei costi dell’energia che ha comportato la crescita esponenziale dell’inflazione con relativo crollo del potere d’acquisto per le famiglie e la perdita di competitività per le imprese nei confronti della concorrenza extra europea.
Insomma, il paradigma su cui è stata fondata tutta la costruzione europea degli ultimi trenta anni (dal trattato di Maastricht) è miseramente fallito e lo ammette anche Draghi, anche se si guarda bene dallo spiegare le motivazioni di fondo, ma sarebbe stato onestamente pretendere troppo.
E dunque che fare? E’ lo stesso Draghi a porsi la domanda, arrivando alla conclusione che per l’Europa e l’Occidente non c’è altra scelta che sconfiggere la Russia e abbattere Putin: «I valori esistenziali dell’Unione europea sono la pace, la libertà e il rispetto della sovranità democratica ed è per questo che non c’è alternativa per gli Stati Uniti, l’Europa e i loro alleati ad assicurare che l’Ucraina vinca questa guerra». Sempre Draghi sottolinea che questo potrà avvenire solo a costo di «un conflitto prolungato al confine orientale dell’Europa».
Una vera e propria dichiarazione di intenti da parte di una persona che ha senza dubbio accesso alle Segrete Stanze dove si decidono i destini dei popoli.
Quindi un passaggio questo da prendere con la massima considerazione ovviamente al netto del passaggio retorico sui “sacri valori europei” dei quali francamente non importa nulla a nessuno, tantomeno a chi ci governa come, appunto, Draghi. Ciò che è in ballo è molto più prosaico: la permanenza dell’Occidente nel ruolo di monopolista mondiale del potere politico, militare, economico, finanziario e diplomatico. Insomma, ciò che è in ballo è la gerarchia di potere nata dalla sconfitta dell’Unione Sovietica e dal crollo del Muro di Berlino.
Ma Draghi non ci risparmia neanche l’indicazione sul modo in cui l’Europa e l’Occidente dovranno affrontare questa fase difficilissima che si annuncia come un vero e proprio tornante della storia: «In primo luogo, l’Ue deve essere disposta a rafforzare le proprie capacità di difesa. Questo è essenziale per aiutare l’Ucraina per tutto il tempo necessario e per fornire una deterrenza significativa contro la Russia». Poi continua dicendo che: «dobbiamo essere pronti a iniziare un viaggio con l’Ucraina che porti alla sua adesione alla Nato».
Insomma, per sconfiggere la Russia dobbiamo prepararci ad una guerra di lungo periodo; preparare un esercito unico europeo (per mandare contingenti di spedizione in Ucraina? Questo non lo annuncia, ma in compenso lo ha detto ieri al Guardian l’ex Segretario Generale della Nato Anders Rasmussen e poi far entrare la stessa Ucraina nella Nato. Insomma, Draghi non dice che dobbiamo dichiarare guerra formalmente alla Russia, ma la sostanza è questa e che Iddio ce la mandi buona.
Naturalmente da un ex banchiere centrale dello spessore di Draghi non possono mancare due parole sulle prospettive dell’economia: «dobbiamo prepararci a un periodo prolungato in cui l’economia globale si comporterà in modo molto diverso dal recente passato». E poi ancora, il banchiere romano nota che: «cambiamenti geopolitici e dinamiche dell’inflazione si intersecano» e infine quello che secondo me è il passaggio chiave: «ha contribuito all’aumento delle pressioni inflazionistiche a breve termine, ma è anche probabile che inneschi cambiamenti duraturi che preannunciano un aumento dell’inflazione in futuro».
Insomma per Draghi la crisi ucraina comporterà un sostanziale aumento dell’inflazione di lungo periodo (e come potrebbe essere altrimenti se lui stesso vaticina una guerra di lungo periodo?) che tradotto significa impoverimento dei popoli. Come peraltro sempre capita durante le guerre.
Questa è a mio avviso la parola di Draghi. Parola quanto mai sincera, ma quanto mai inquietante.
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