DONNE QUESTE SCONOSCIUTE
Otto marzo, Giornata internazionale della donna.
Si ricordano le conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne negli ultimi decenni, ed è un’occasione per denunciare le discriminazioni e le violenze di cui sono vittime.
Oltre che per sensibilizzare sulle battaglie civili, l’uguaglianza e le pari opportunità.
L’idea nacque negli Stati Uniti nel 1909, durante le rivendicazioni femminili per il diritto di voto, ma l’inizio della prima guerra mondiale interruppe ogni attività a favore di queste iniziative.
Soltanto in occasione della Seconda conferenza delle donne comuniste a Mosca nel 1921, venne decisa un’unica data per celebrarne la giornata. E si scelse l’8 marzo per ricordare la manifestazione contro lo zarismo delle donne di San Pietroburgo avvenuta nel 1917.
Dopo la rivoluzione bolscevica, nel 1922 Lenin istituì l’8 marzo come festività ufficiale, ma fino all’inizio degli anni 70 questa festa era celebrata principalmente nell’Unione Sovietica e in Cina.
Nel 1972 le Nazioni Unite invitarono tutti i paesi membri a ricordare questa ricorrenza, per porre fine a ogni discriminazione e per una paritaria partecipazione delle donne alla vita civile e sociale del proprio Paese.
E in Italia? Nel 1946, finita la guerra, si cominciò a celebrare l’8 marzo per iniziativa dell’Unione delle Donne in Italia (UDI). Furono Teresa Mattei, Rita Montagnana e Teresa Noce, tre donne politiche deputate nell’Assemblea Costituente, ad avere l’idea di usare la mimosa come simbolo.
Oggi ci dovremmo chiedere però a cosa serve l’8 marzo.
La sua celebrazione è servita a migliorare la condizione femminile nel mondo? O col tempo si è trasformata in una semplice ricorrenza commerciale in cui le donne, per un giorno, si comportano come i più beceri dei maschi, andando ad assistere a spogliarelli maschili e infilando soldi nelle mutande di corpi scultorei e seminudi?
La risposta è sotto i nostri occhi, ogni giorno. Senza scomodare realtà sociali patriarcali in cui le donne non hanno nessun diritto ma sono trattate come oggetti di proprietà del padre e dei fratelli prima e del marito poi, anche nel progressista occidente ci sono molte lacune ancora da colmare. Basti pensare che in Italia è stato necessario introdurre una legge, nel 2011, per obbligare gli uomini a inserire nelle società pubbliche e private e nei ruoli istituzionali una percentuale minima di donne. Fino ad allora venivano piazzate soltanto perché, ogni tanto, qualcuna ci stava bene.
Il merito davvero rischiava di essere un elemento del tutto superfluo e inutile.
Perché gli uomini, tra loro, sanno fare squadra.
Le donne sono più individualiste, si sentono in perenne competizione tra di loro, e pensano di vincere se diventano come i maschi, ma più brave e più in gamba.
E così una donna deve dimostrare di essere una brava moglie, madre, donna di casa, lavoratrice, e sempre perfetta, dall’abbigliamento, ai capelli, al trucco.
Nell’uomo la ruga sa di fascino, nella donna di vecchiaia.
E in un mondo in cui le donne, tendenzialmente, sono ancora considerate più per ciò che la società richiede loro (nello specifico, bellezza e figli), che non per la loro intelligenza e preparazione, è ovvio che una donna vecchia non serve più a nulla.
Una tendenza, questa, che sta cambiando, e pur essendo un punto di svolta il primo Presidente del Consiglio donna, ancora più dell’appartenenza di genere di Giorgia Meloni ha importanza il fatto che la sua scalata verso il successo sia dovuta esclusivamente alla tenacia e al merito.
Non al fatto di essere nata in una famiglia privilegiata e di avere avuto conoscenze e parentele importanti.
E la speranza di avere i posti che si meritano perché si è brave e non perché si è donne, è più forte che mai.
Torna alle notizie in home