di MIRIAM NIDO
Lo cercavano da trent’anni e lui si muoveva in meno di 300 metri nel piccolo paesello di Campobello di Mazara. Dopo la cattura di Matteo Messina Denaro e la perquisizione della casa in cui il capo mafia viveva sotto le mentite spoglie di Andrea Bonafede, ora è venuto alla luce anche il suo bunker. E alcuni documenti ritenuti rilevanti. Al secondo nascondiglio dell’ultimo padrino, i carabinieri del Ros, agli ordine del generale Pasquale Angelosanto, sono risaliti grazie all’analisi dei dati catastali, che hanno rilevato alcune anomalie all’interno di un appartamento in via Maggiore Toselli, una casa al piano terra a poche centinaia di metri dall’abitazione del boss in vicolo San Vito, perquisita lunedì, e a soli 98 metri dal bar dove, il 6 settembre scorso, sono stati catturati 35 fedelissimi di Denaro.
Il bunker, in perfetto stile da superlatitante, è stato ricavato nell’appartamento da operai fidatissimi, che hanno costruito una stanza blindata a cui si accede dal fondo scorrevole di un armadio. A fornire agli investigatori la chiave per aprire la porta è stato Errico Risalvato, il proprietario dell’appartamento, indagato e poi assolto, nel 2001, dall’accusa di associazione mafiosa, nonché fratello di Giovanni, l’imprenditore del calcestruzzo condannato a 14 anni per mafia e ora libero. Errico è considerato uno dei picciotti del boss e, nonostante finora le sue implicazioni con Cosa Nostra non siano mai state accertate, spicca quantomeno una certa fedeltà al boss dei boss, come emerge da un’intercettazione di alcuni anni fa, in cui proprio Errico, parlando di Matteo Messina Denaro, avrebbe dichiarato: “Per lui farei qualsiasi cosa”. E stavolta l’ha fatta davvero grossa, visto che l’esistenza della stanza e la custodia della chiave del bunker hanno portato gli inquirenti a formalizzare per lui l’accusa di favoreggiamento. Il bunker, inoltre, era ben nascosto, in un armadio pieno zeppo di vestiti, che celava quella porticina blindata protetta dalla serratura, dietro la quale era racchiuso il mondo del superlatitante. Che ora viene setacciato palmo palmo, alla ricerca dei documenti segreti della mafia. Un luogo antitetico rispetto alla casa di vicolo San Vito, dove Matteo si spacciava per Andrea Bonafede e viveva nel lusso. Una casa ordinata, arredata con bei mobili, con una cucina attrezzata e il frigo pieno. Centinaia di vestiti firmati, camice griffate, profumi costosi e una collezione di occhiali Ray ban. Poi viagra e preservativi, indice del fatto che il capo dei capi conduceva un’esistenza tutt’altro che in fuga, protetto com’era da suoi uomini e da un intero paesino, i cui abitanti non si sono mai posti domande sul falso Andrea Bonafede e che solo con la cattura del padrino si sono destati dal sonno o dall’omertà. In quell’abitazione, rivoltata da capo a piedi, gli investigatori hanno trovato indizi da cui partire per ricostruire lo stile di vita, le frequentazioni, le conoscenze e le coperture.
Nessuna traccia, però, dei documenti scottanti, dal famoso Papello, delle carte ricevute da Totò Riina, dell’agenda rossa di Paolo Borsellino sparita dalla scena della strage di via D’Amelio. Non un pizzino, ma scontrini del ristorante e del supermercato. Insomma, non c’erano gli strumenti del mestiere del capo clan. E ora i carabinieri del Ros sperano di trovare i segreti di Cosa Nostra tra i documenti trovati in questo secondo covo, una stanza vissuta, con tracce recenti, dove sono stati rinvenuti alcuni scatoloni con decine di carte ritenute di preminente interesse, tutte sequestrate. I militari dell’Arma le analizzeranno una ad una, convinti che in mezzo a quei mazzi di fogli possa emergere qualcosa di rilevante, oltre ad alcuni pizzini scottanti. Gli esperti del Ris, in contemporanea, hanno repertato anche le tracce biologiche e le impronte, che ora verranno confrontate non solo con il profilo genetico del boss, ma saranno inserite nelle banche dati per collegare i fiancheggiatori. La procura di Palermo, diretta da Maurizio de Lucia, sta ricostruendo tutti i tasselli per creare il castello investigativo in grado di colpire al vertice. Dalle indiscrezioni, i militari dell’Arma ipotizzano che Matteo Messina Denaro avesse a disposizione almeno un altro bunker e gli approfondimenti sono tesi all’individuazione di nuovi nascondigli. Tra l’altro è stata trovata la chiave di un’Alfa 164, che il ricercato utilizzava per muoversi tranquillamente in paese, e due telefonini cellulari. Per gli inquirenti il lavoro è esclusivamente d’indagine, perché le speranze che il boss possa parlare si sono già affievolite. Lui stesso si è avvalso della facoltà di non rispondere nel giorno dell’arresto e oggi comparirà in video conferenza nel corso della prima udienza del processo d’Appello, in cui il padrino è imputato per le stragi del ’92. quelle di Capaci e di via D’Amelio, in cui furono uccisi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, per le quali Denaro è già stato condannato all’ergastolo.