Il disastro scritto nelle Stellantis, i numeri del flop
Carlos Tavares A.D. Stellantis e John Elkann presidente Stellantis anteprima stampa della mostra multimediale Drive Different.DallAusterity alla mobilità del futuro presso museo Mauto di Torino, 23 novembre 2023. ANSA/ALESSANDRO DI MARCO
Un disastro, Stellantis. Dal quale non si esce. Elkann preferisce seguire la Ferrari in Messico piuttosto che prepararsi all’audizione in Parlamento, davanti a cui ha dato forfait. Stellantis è in un mare di guai. Non c’entra, o magari c’entrano solo in parte, le tensioni col governo né le decisioni in manovra sui fondi per l’auto dislocati sulla difesa. Il disastro è nei numeri. Stando a quelli comunicati proprio da Stellantis, il terzo trimestre s’è chiuso con poco meno di 1.150.000 tra auto e veicoli consegnati alla rete di concessionari e ai clienti. Un tonfo disastroso stimato nel 20% di consegne in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno passato. Le vendite, invece, hanno fatto registrare una flessione pari al 15 per cento “scontando l’impatto temporaneo della transizione del portafoglio prodotti e delle iniziative di riduzione delle scorte”. In tutta Europa si sono segnate 100mila consegne in meno, nel Nord America è andata anche peggio con un saldo negativo di 170mila unità consegnate. I dati sulle vendite pubblicati da Acea fanno rabbrividire. Stellantis ha chiuso settembre con un calo delle vendite pari al 27,1% per una quota di mercato che si restringe al 14,9%. A trascinare verso il basso il fatturato Stellantis è stato il flop di Lancia (-72%), seguito da quelli altrettanto rumorosi e pesanti di Citroen (-46%) e Fiat (-45,2%). Malissimo pure Maserati (-42,5%). Lo scenario è quello tracciato, nelle scorse settimane, dal segretario generale Cgil Maurizio Landini secondo cui, negli ultimi dieci anni, “gli occupati Stellantis sono calati di quasi 14mila” unità mentre “quest’anno si rischia di produrre meno di 300mila auto” a fronte delle “potenzialità degli stabilimenti” che può “arrivare tra il milione e mezzo e due milioni di unità prodotte”. La Fim-Cisl, a inizio ottobre, aveva fatto notare che tutti gli stabilimenti italiani di Stellantis “sono sul fronte della produzione in profondo rosso e non era mai successo prima”. Per il segretario generale Ferdinano Uliano, la produzione italiana del gruppo avrebbe segnato una flessione del 31% rispetto ai primi nove mesi del 2023. In particolare sarebbe crollata la produzione di auto (-40,7%) e decimata (letteralmente, -10,2%) quella dei veicoli commerciali. “Fra luglio e settembre anche gli stabilimenti di Pomigliano e di Atessa che nei primi due trimestri erano in positivo. E se proiettiamo questo dato con le richieste di cig come quella comunicata a Mirafiori, possiamo pensare che la situazione della produzione 2024 sarà inferiore a 500 mila con le auto sotto quota 300 mila. È qualcosa – spiegò Uliano – che non avevamo mai visto nell’ex gruppo Fiat”. Il guaio è che la crisi Stellantis si ripercuote sull’indotto. E, come riferisce Anfia, la situazione è delicata. “Per un’impresa su tre della componentistica automotive è prevista una contrazione dell’occupazione, ma il quadro negativo si evidenzia anche per gli investimenti fissi lordi, per i quali il saldo tra prospettive di crescita e di decremento risulta pari al -19%”. Si parla di un comparto che conta più di duemila imprese (2.135 per l’esattezza), che dà lavoro a 170mila persone generando fatturato complessivo per oltre 58,8 miliardi di euro.
Stellantis piange, Volkswagen si dispera. La casa automobilistica che più delle altre aveva sostenuto, voluto e caldeggiato la svolta elettrica si è ritrovata con i conti in disordine. Gli utili trimestrali sono precipitati a 1,58 miliardi di euro per una tragica flessione pari al 63,7%. I ricavi, nel terzo trimestre, restano pari a 78,5 miliardi. Da Wolfsburg, dopo le proteste degli operai, cala una coltre di silenzio: “Parleremo quando troveremo un accordo” con il consiglio di fabbrica e col sindacato. Ma la possibilità che si possa davvero arrivare a concludere con una stretta di mano appare lontanissima. Intanto, i dirigenti tedeschi avvisano gli azionisti che si ritroveranno con dividendi più magri e denunciano la strategia cinese, pronta a invadere l’Europa nonostante i dazi. Il vero problema, però, lo rileva Arno Antlitz: “Mancano due milioni di auto al mercato”. Il pre-Covid, per l’automotive, non esiste. E l’elettrico, con tutte le sue criticità, non dà serenità agli automobilisti che preferiscono tenersi i vecchi naftoni piuttosto che fare il salto nel buio. “Non ci attendiamo cambiamenti”, ha sentenziato Antlitz. Qualcuno lo diceva: con l’elettrico calerà l’occupazione, non ci sarà bisogno di assumere più tanti operai. Sarà una rivoluzione dolorosa, altro che green. Sta accadendo. Ma a Bruxelles non vogliono ammettere di aver sbagliato e, anzi, la spagnola Teresa Ribeiro, candidata commissario Ue a transizione e concorrenza, ha fatto tremare l’intera industria europea, nei giorni scorsi, affermando di non avere la minima intenzione di accompagnare passi indietro sul Green Deal. Auguri.
Torna alle notizie in home