“Disastro ambientale”, Solvay e i risarcimenti: condanne e trattative
I due volti dell’industria chimica: da una parte la sicurezza degli ambienti di lavoro a tutela dei dipendenti, e dall’altra la doverosa salvaguardia dell’ambiente a difesa della collettività. In entrambi i casi la multinazionale chimica Solvay è stata chiamata in causa davanti ai giudici. Dapprima in Toscana, per il sito produttivo di Rosignano Marittimo, quindi di recente ad Alessandria per l’impianto di Spinetta Marengo, che un anno fa è passato sotto il controllo di Syensqo, spin-off del Gruppo Solvay.
ALESSANDRIA – Partiamo dal fatto più recente, quello di Spinetta, nel procedimento agli ex direttori del polo produttivo Stefano Bigini e Andrea Diotto, per i quali la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio per il presunto disastro ambientale, perché “nel sito sottoposto a processo di bonifica per l’inquinamento pregresso” non avrebbero agito con sollecitudine per “provvedere al più efficace risanamento della pregressa contaminazione”. Le accuse sono relative anche alla sistemazione della barriera idraulica “avviata nel 2007 per intercettare le acque di falda contaminate in uscita dal perimetro dello stabilimento, dimostratasi inefficace già nel marzo 2014”. I due imputati, tutelati da Riccardo Lucev e Guido Carlo Alleva, respingono i sospetti, intanto il giudice Andrea Perelli ha rinviato l’udienza al 26 giugno perché sono state avviate trattative sui risarcimento con le 300 parti civili. Dai cittadini di Spinetta Marengo, quartiere di Alessandria, alle associazioni ambientaliste, proseguendo con Comune, Regione e ministero dell’Ambiente. L’avv. Giulio Ponzanelli di Syensqo, responsabile civile, ai cronisti ha spiegato che l’azienda vuole “risolvere con le parti civili in maniera concorde quanto si frappone a un rapporto sereno con il territorio”. Toni concilianti che preludono a una trattativa per giungere a un accordo che estrometterebbe le parti civili in vista di un giudizio più agevole per i due manager.
ROSIGNANO MARITTIMO – Invece per la morte dell’operaio Romano Posarelli il tribunale di Pisa ha condannato anche la Asl Toscana Nord Ovest, ex Usl 6, a un risarcimento di quasi 26mila euro. Al lavoratore era stata fatale l’esposizione all’amianto nello stabilimento Solvay di Rosignano e nel 2021 il tribunale di Livorno aveva condannato la multinazionale al risarcimento del danno quantificato in 690 mila euro per il cancro patito dal povero Posarelli. La sentenza è stata confermata dalla Corte di Appello che ha respinto il ricorso di Solvay. Nel frattempo il figlio di Posarell, Massimiliano, si era affidato all’avvocato Ezio Bonanni, che presiede l’Osservatorio Nazionale sull’Amianto (ONA), sollecitando il ristoro del danno anche da parte dell’Asl Toscana “per aver omesso la sorveglianza sanitaria che avrebbe permesso la diagnosi precoce del tumore del polmone. È una condanna – spiega in una nota Ona – che sancisce il principio che vi deve essere la doverosa attenzione delle Usl per i lavoratori esposti ad amianto, con la massima diligenza su esami e terapie”. Il tribunale di Pisa nella sua motivazione rileva che deve essere valutato il ritardo diagnostico, anche strumentale, da parte del medico di base che non poteva non essere a conoscenza del precedente impiego lavorativo del Posarelli alla Solvay e della sua situazione di ex esposto” all’amianto. Per il giudice l’avv. Bonanni “ha fornito la prova delle inadeguate prescrizioni dei farmaci e del ritardo nell’esecuzione degli esami strumentali, quindi del nesso di causalità tra la condotta del medico di base e il peggioramento delle condizioni di Posarelli per l’inadeguato trattamento della malattia”, da qui la responsabilità contrattuale dell’Usl. La sentenza, osserva Bonanni, rileva “il principio che anche nel caso di risarcimento del danno a carico del datore di lavoro, responsabile della morte, comunque sussiste la responsabilità in solido anche dell’Asl”. Tra l’altro, a proposito di Solvay, essa ha un codice etico ferreo nei confronti di collaboratori, fornitori e terzi, ma come nel caso di Posarelli nei fatti è stato violato dai propri manager e l’azienda è stata condannata in solido.
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