Ambiente

Disastro alla Caffaro, commissari assolti per l’inquinamento

di Ivano Tolettini -


Il giudice per il disastro ambientale alla Caffaro Brescia, storico sito industriale che ha provocato un grave inquinamento in città che si trascina da decenni, stabilisce che i tre commissari straordinari che hanno gestito, in tempi diversi, l’impianto chimico durante i periodi di crisi, non possono essere ritenuti corresponsabili dell’aumento del mercurio in falda a causa dello sversamento nel reparto del cloro-soda, come invece riteneva la Procura della Repubblica. Pertanto, il gup Andrea Guerriero, disattendendo le richieste di condanna a pene variabili tra i 10 mesi e i 2 anni di reclusione, sollecitate dal procuratore aggiunto Silvio Bonfigli e dal sostituto Donato Greco, ha assolto con formula piena Roberto Moreni, che si era occupato dello smantellamento degli impianti; il commissario liquidatore di Snia (già proprietaria del sito) fino al 2009, l’avvocato veneziano Marco Cappellotto, e il collaboratore di quest’ultimo Alfiero Marinelli, che era delegato per la sicurezza e l’ambiente. “Abbiamo vissuto con amarezza l’ingiusto coinvolgimento in questa vicenda processuale – spiegano al termine i tre imputati – perché eravamo consci di essere estranei alle accuse mosse dai Pm, essendoci comportati sempre correttamente, come adesso ha riconosciuto il giudice”. Tra qualche settimana toccherà agli altri imputati, con in testa l’industriale pisano Antonio Donato Todisco e i manager Alessandro Quadrelli, Vitantonio Balocco e Alessandro Francesconi, passare al vaglio del tribunale bresciano per imputazioni ambientali molto più gravi relative al periodo 2011-2019, quando venne sospesa l’autorizzazione della Provincia di Brescia per la produzione chimica. Da queste accuse si proclamano estranei i quattro imputati perché quando proseguirono l’attività nel 2011 – questa è la loro tesi – il disastro si era già consumato e non l’avrebbero aggravato. Come invece affermano i pubblici ministeri che contestano loro, a vario titolo, il disastro e l’inquinamento ambientale, il deposito incontrollato di rifiuti perché nonostante fossero anche garanti ambientali dello stabilimento Caffaro, che sorge nel cuore della Leonessa d’Italia, avrebbero deteriorato il quadro ambientale non prendendo adeguate contromisure per impedire che i veleni ammorbassero ancora di più il territorio bresciano.
Il giudizio a carico degli imputati Cappellotto, Moreni e Marinelli si è svolto all’udienza preliminare con il rito abbreviato. Sono stati assolti “perché il fatto non sussiste” dall’ipotesi dell’inquinamento ambientale e perché “il fatto non costituisce reato” dal presunto deposito incontrollato di rifiuti e il mancato loro smaltimento. La tesi della Procura, che si è avvalsa delle consulenze tecniche dell’ing. Cozzupoli depositate nel 2021, l’inquinamento non solo era ancora attuale, ma sarebbe stato aggravato dall’inazione dei commissari, mentre gli altri imputati per i quali il processo si deve ancora concludere, avrebbero consapevolmente inquinato ancora di più con l’impianto della cloro-soda. L’assoluzione dei tre commissari potrebbe aprire spazi anche per Todisco e i suoi manager perché come afferma l’avvocato Ennio Buffoli, che difende Cappellotto, “dai consulenti tecnici ascoltati non è emersa prova di alcun peggioramento delle condizioni del terreno su cui sorge lo stabilimento perché era inquinato ancora prima dell’avvio della procedura nel 2009”. Tanto più che rispetto alle analisi compiute dall’Arpa nel 2003, il livello del mercurio non sarebbe peggiorato nel 2019 al contrario di quanto sostengono le consulenze tecniche depositate dai pubblici ministeri. In base ad esse nel 2021 il gip Alessandra Sabatucci aveva adottato provvedimenti cautelari nei confronti di Todisco, Quadrelli e Francesconi facendo loro predisporre quelle cautele sotto forma della barriera idraulica per impedire l’ulteriore inquinamento della falda che coinvolge un vasto territorio, non solo del capoluogo bresciano. Il processo proseguirà il 16 luglio quando saranno depositate in aula le perizie sulle intercettazioni telefoniche. Il disastro innominato della Caffaro riguardava “l’inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque sotterranee e delle rogge superficiali dell’area dove sorgeva lo stabilimento chimico, oltre alle zone agricole ad essa limitrofe per complessivi 262 ettari”.


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