Difesa di Turetta, un’offesa alla memoria di Giulia Cecchettin
Il principio giuridico della presunzione di innocenza vale per tutti, anche per Filippo Turetta, accusato di aver ucciso l’ex fidanzata Giulia Cecchettin l’11 novembre del 2023. Per questo motivo si sta tenendo il processo per l’omicidio, di cui Turetta è accusato. Proprio questo iter è necessario a capire quali siano stati i fatti, le loro analisi, la loro natura, le motivazioni e le aggravanti. Aggravanti per cui l’accusa ha chiesto la pena dell’ergastolo per il 22enne, considerando nell’uccisione anche la premeditazione, la crudeltà e lo stalking. Omicidio per cui Turetta ha confessato, un atto per cui non si può mettere in discussione ciò che ha commesso. La sua colpevolezza, difatti, non è dibattibile, neanche per i suoi legali. Non è semplice difendere un reo confesso, soprattutto di un grave fatto, anzi, orribile. Le persone hanno diritto a difendersi in tribunale quando accusati di aver commesso un reato e gli avvocati difensori – anche quelli di persone orribili – non sono corresponsabili, bensì rendono un servizio nella democrazia, anche quando gli imputati sono “indifendibili”. Per questo motivo, in aula, nella giornata di martedì sono stati gli avvocati della difesa di Turetta a prendere la parola, chiedendo ai giudici di non utilizzare la “Legge del taglione” e di non agire quindi con un giudizio “morale”. Filippo Turetta va giudicato per ciò che ha fatto e cioè ucciso l’ex compagna con numerose coltellate alla testa e al collo. Ma non solo, come ha sottolineato l’accusa – anche qui, parliamo sempre di fatti – il 22enne non solo ha agito con violenza, ma ha anche premeditato. Lo dice la lista di cose da fare compilata e modificata nei giorni prima del delitto, lo dicono le ricerche su internet (poi tentate di eliminare), lo dice la scelta del luogo dove occultare il cadavere, l’acquisto di scotch, la presenza del coltello in auto. E ancora tutto ciò che è venuto prima, il controllo spasmodico degli spostamenti di Giulia, le richieste pressanti e le migliaia di messaggi. Eppure, i suoi difensori chiedono che queste aggravanti siano ritenute “insussistenti”. Il motivo è semplice, il ragazzo è fragile, non può aver premeditato, era insicuro. Questo non è un giudizio morale? La contraddizione non aiuta, visto che poco prima si è chiesto di giudicare il ragazzo per quanto ha commesso. E se pensiamo di aver visto tutto, o meglio, sentito, non è così. È con questo passo dell’arringa, parlando della vittima, che si arriva all’inaccettabile. “Se (Giulia, ndr) avesse avuto paura per la sua incolumità avrebbe dato appuntamento lei al suo futuro omicida? Se avesse avuto paura non si sarebbe fatta accompagnare dalle amiche? Giulia Cecchettin non ha paura di Filippo Turetta, quando lei dice ‘mi fai paura’ si riferisce alla paura che lui si faccia del male”. Queste frasi possono essere raccolte in un semplice concetto: colpevolizzazione della vittima. Ed è per questo che sui social, il padre di Giulia, Gino Cecchettin, ha dato sfogo alla sua rabbia. “Io ieri mi sono nuovamente sentito offeso e la memoria di Giulia umiliata”. Perché se l’imputato, sostiene il difensore, “tiene ancora la testa bassa in aula ed è pronto al fine pena mai” – fine pena mai che in Italia non esiste – a Giulia rimane solo la memoria. E questa non deve essere toccata.
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