Cultura & Spettacolo

Del Bo sfata il mito delle donne avvelenatrici e guarda alla società Longobarda

di Angela Arena -


La lunga storia della discriminazione passa anche attraverso il racconto delle donne che  sapevano usare le erbe e, per questo, erano considerate delle streghe’, a sostenerlo è la  professoressa Beatrice Del Bo, docente di Storia economica e sociale del Medioevo presso l’Università degli Studi di Milano. 

Durante il secondo appuntamento di ‘Incontri d’Archivio’ tenutosi lo scorso 24  gennaio presso l’Archivio di Stato di Benevento, la medievista, specializzata in storia  delle donne e dell’identità di genere, ha illustrato la sua ultima opera letteraria ‘Arsenico ed altri veleni. Una storia letale nel Medioevo‘, edito da ‘Il Mulino’, in cui, partendo da una minuziosa analisi delle fonti storiche, decostruisce il falso mito che 

identifica il veleno come arma segreta appannaggio del mondo femminile. Per secoli, fantasiose narrazioni letterarie, rappresentazioni artistiche e tradizioni  popolari hanno spaventato e al contempo affascinato l’umanità con lo stereotipo  della donna avvelenatrice scardinato in questo libro attraverso una cronaca storica e  storiografica di crimini e malefici, che conduce il lettore in un viaggio a ritroso nel  tempo dove la riflessione s’incentra, non solo sulla trasversalità dell’utilizzo dei  benefici, ma sul potenziale simbolico del veleno. 

Coinvolgendo uomini e donne di ogni ceto sociale, le sostanze venefiche ed in  particolare l’arsenico, nemico subdolo ed invisibile, con la sua efficacia letale, era  considerato un vero e proprio strumento di controllo e manipolazione, capace di  sconvolgere la vita quotidiana e scombinare le dinamiche del potere, a tal punto che,  tra i potenti del tempo, l’abilità di avvelenare o proteggersi dal veleno era considerata  una vera e propria forma di dominio. 

Sebbene la giustizia medievale considerasse gli avvelenatori alla stregua dei peggiori  criminali infliggendo loro pene brutali, nel capitolo dedicato agli avvelenamenti tra  gli aristocratici e i reali, l’autrice traccia uno spaccato di processi e avvenimenti  documentati, allo scopo di far meglio comprendere quanto il veleno, oltre ad una  minaccia, costituisse un’arma strategica nelle mani di potenti e avversari: dai pranzi  trasformati in tragedie alle faide politiche che culminavano in morti sospette. 

Non a caso, nella vita di corte, dove le tavole imbandite potevano nascondere insidie  mortali, figure come gli assaggiatori e l’uso di amuleti protettivi costituivano parte  integrante di un mondo in cui è assai labile era il confine tra superstizione e realtà,  meno che mai ‘scientifica’. 

Tuttavia, l’esplicita ed evocativa scelta del titolo che rimanda ad un’epoca caratterizzata da una società fragile, spesso intrisa da sentimenti di rancore e  vendetta investe tanto l’animo dei nobili, quanto quello degli umili abitanti delle  città, assidui frequentatori di taverne e mercati popolari, passando per le botteghe  degli speziali le cosiddette spezierie medievali. 

Da strumento letale, infatti, alcune erbe potevano essere manipolate tanto per scopi  letali quanto curativi, in particolare, la scrittrice pone l’accento oltre che sulla  saggezza contadina tramandata di generazione in generazione anche sull’ambigua  figura degli speziali, potenziali assassini, o in alternativa, guaritori: note per la loro 

efficacia letale, alcune piante velenose, potevano rappresentare anche potenti rimedi  terapeutici, se utilizzate in dosi precise.  

Fu questo il motivo per cui, senza dubbio nell’antichità le donne che utilizzavano le  erbe in modo sapiente venivano eliminate con l’accusa di stregoneria o nel migliore  dei casi dichiarate pazze o emarginate, in quanto il loro ruolo era e doveva rimanere  relegato al focolaio domestico. La causa è da ricercare nella mentalità e nelle leggi del tempo, tuttavia non in tutte le  società medievali le donne erano emarginate, in particolare nella società Longobarda,  laddove esse “beneficiavano di una particolare posizione economica” che la studiosa si  propone di indagare nella sua prossima opera.


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