Dazi d’acciaio ma l’Ue non ci sta e avvisa la Silicon Valley
Gira che ti rigira, l’Ue è l’unica che rischia (davvero) di ritrovarsi i dazi di Trump tra capo e collo. Anche se la prima chiamata è tutta per Pechino. Sull’Air Force One, in “trasferta” per il SuperBowl di domenica, il presidente americano ha ribadito che la sua intenzione di fissare tariffe è seria, precisa e puntuale. E si comincerà dalle materie prime: alluminio e acciaio, il cui prezzo all’importazione sarà gravato del 25%. Un segnale che, dalla Cina, è stato commentato dal portavoce del ministero degli Esteri con la (solita) draconiana considerazione: “Non c’è via d’uscita per il protezionismo, non c’è vincitore in nessuna guerra commerciale o tariffaria”. E mentre, giusto un minuto prima, entravano in vigore i dazi al 10% per le merci cinesi, il governo di Pechino ha deciso di estendere i suoi dazi anche alle macchine agricole e alle auto di grossa cilindrata. Il braccio di ferro tra i due vasi di ferro dell’economia globale è cominciato. Il fatto che la partita sia iniziata lo testimoniano le ricerche, da parte della Cina, di nuove fonti di approvvigionamento energetico nell’area dell’Asia Centrale e la “nota” che un colosso come Shein ha inviato ai suoi partner invitandoli, a fronte anche di ulteriori premi, a produrre in Vietnam, bypassando così le severe norme doganali di Usa e di Ue. Che, appunto, c’entra in questa vicenda. Eccome. L’Europa è in mezzo alle due potenze a recitare il ruolo, scomodissimo, del vaso di coccio. E come da sua inveterata tradizione, si divide. La Francia, che qualche interesse nel siderurgico pure ce l’ha, ha tuonato: “L’Europa si farà sentire”. Parigi vuole guidare il Vecchio Continente alla riscossa. La Germania, che affronta le elezioni ormai imminenti, non si schiera con altrettanta veemenza. Non fosse altro perché quasi tutti i Paesi alla sua frontiera orientale sono disposti a tutto pur di far pace con l’America, soprattutto ad acquistare vagonate di armi. La Spagna, da parte sua, si dice, con il ministro degli Esteri José Manuel Arbares, “pronta a qualsiasi eventualità” mentre l’Italia, con il ministro all’Industria Adolfo Urso, continua a insistere sulla necessità di “evitare una guerra commerciale” con gli Stati Uniti. Insomma, su come affrontare la minaccia dazi, in Ue, sembra non ci sia armonia né unità. La Bce, però, invita a non farsi prendere la mano e, anzi, a tentare una ricomposizione perché, come ha spiegato il vicegovernatore De Guindos, una guerra commerciale, che non farà bene a nessuno, andrebbe evitata.
A Bruxelles la situazione inizia, perciò, a farsi seria. Qualche, seppur timido, segnale di risveglio inizia a registrarsi. La Commissione Europea ha mandato avanti il portavoce per il Commercio, Olof Gill: “Nessuna delle potenziali misure delineate finora dall’amministrazione statunitense è giustificata”. Perché, ha spiegato Gill, se è vero che l’Ue vanta un avanzo commerciale imponente in merito ai beni, c’è pur da considerare lo squilibrio che, invece, vige sul fronte dei servizi: “Secondo i dati relativi al 2023 gli Usa hanno esportato beni per 346,5 miliardi di euro verso l’Ue, importandone per circa 500 miliardi, ma contemporaneamente gli Usa hanno esportato servizi per 396,4 miliardi di euro verso l’Ue, mentre ne hanno importati per 292,4 miliardi”. A Elon Musk, e a tutti i tycoon della Silicon Valley, saranno fischiate le orecchie. “Prenderemo sempre le misure necessarie per proteggere i nostri interessi economici, così come le imprese, i lavoratori e i consumatori europei da misure tariffarie ingiustificate – ha concluso Gill -. Sosteniamo relazioni commerciali reciprocamente vantaggiose, basate su trasparenza, equità e crescita economica condivisa. Infine, rimaniamo impegnati in un dialogo costruttivo con gli Usa e con tutti i nostri altri partner commerciali”. Insomma, occhio Trump sennò ti sanzioniamo gli Over The Top digitali. Una minaccia credibile ma fino a un certo punto. Già, perché se è pur vero che l’Ue è stata la prima entità politica a regolamentare l’Ai, lo è altrettanto il fatto che, in Europa, non c’è uno straccio di campione digitale capace, se non di competere, quantomeno di stare sul mercato.
Nel frattempo, l’eventuale applicazione dei dazi all’Ue potrebbe avere un effetto tsunami sull’economia italiana. Il Codacons ha stimato aumenti su abbigliamento e riso, Federcarrozzieri ammonisce che, a fronte delle gabelle doganali, riparare la propria auto potrebbe costare (ancora) di più. Unrae, intanto, avvisa che con la chiusura delle frontiere per l’automotive italiano, in particolare il segmento dei veicoli commerciali, il colpo potrebbe essere duro da digerire. Federacciai, invece, non sa spiegarsi gli ultimi annunci di Trump dal momento che, come ha spiegato il presidente Antonio Gozzi, “dal 2018, anno in cui l’amministrazione Trump ha introdotto i dazi del 25% sull’importazione di acciaio dai Paesi dell’Unione Europea, l’export italiano di acciaio verso gli Stati Uniti ha subito un drastico calo, passando da circa 600mila tonnellate nel 2018 a meno di 200mila tonnellate nel 2024”. Per questo, dice Gozzi: “Non comprendiamo se i recenti proclami rappresentino un rinnovo di una normativa già esistente o se siano il preludio a nuove misure restrittive”.
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