Economia

Così i dazi tagliano le gambe alla crescita dell’Eurozona

di Giovanni Vasso -

epa08534623 81 vehicles, seized by the US Customs and Border Protection are shown in Port Everglades in Fort Lauderdale, Florida, USA, 08 July 2020. On 16 June, the Homeland Security Investigations, Miami's Illicit Proceeds & Foreign Corruption Group, US Customs and Border Protection Miami Field Office and their Outbound/Exodus Team in Fort Lauderdale seized 81 vehicles that are valued at approximately 3.2 million dollars. Some of the vehicles are equipped with police equipment such as lights and sirens were going to Venezuelan National Police. HSI determined that the vehicles were being unlawfully exported in violation of US laws and were seized. EPA/CRISTOBAL HERRERA-ULASHKEVICH


I dazi tagliano le gambe alla crescita dell’Eurozona. C’era da attenderselo. Ma una cosa è dirselo, immaginarselo, un’altra è leggere le previsioni, al ribasso, stilate da Standard & Poor’s. Secondo cui la crescita nel Vecchio Continente, che nel 2025 avrebbe dovuto (finalmente) superare in scioltezza il punto percentuale (+1,2%), a quell’obiettivo non ci andrà manco vicina. Il taglio è netto: l’Eurozona non crescerà oltre lo 0,9 per cento quest’anno e potrà ambire a vedere aumentare il suo Pil dell’1,4% solo nell’anno che verrà. E, chiaramente, solo se tutto andrà (più o meno) bene. Non andrà granché bene all’Italia il cui Pil non crescerà oltre lo 0,6% quest’anno cogliendo, forse, l’1% nel 2026 e nel 2027. Mal comune, mezzo gaudio. Tranne che in Germania. Il Paese è già alle prese con la recessione e puntava molto del suo riscatto proprio nel 2025. La crescita tedesca non supererà uno striminzito 0,3%. Tuttavia Berlino potrà riscattarsi nel2026 e nel 2027 anche grazie al bazooka di Merz: le previsioni S&P assicurano una crescita pari al 1,4% per il prossimo anno e all’1,7% nel 2027. Ma c’è poco, pochissimo, da festeggiare. Deloitte, infatti, ha calcolato che le tariffe sull’automotive faranno saltare, alla Germania, affari per 8,9 miliardi di dollari. E a pagare un prezzo importante sarebbero anche le imprese italiane che, a quelle tedesche, sono legatissime. La stangata dazi, per l’Italia, rischia di essere un freno perché, stando a quanto denuncia Unimpresa, a pagare il prezzo più alto saranno le piccole e medie imprese. Stando all’analisi dell’organizzazione datoriale, il sistema produttivo nazionale rischia una perdita tra 1,4 e 3 miliardi di euro mentre, sotto il profilo occupazionale, sarebbero in pericolo fino a 15.500 posti di lavoro. Solo per la catena di subfornitura, secondo Unimpresa, ballano affari per 2,5 miliardi di euro. C’è di che esser preoccupati. E difatti i metalmeccanici hanno deciso di scendere in piazza. Per difendere il loro posto di lavoro, per reclamare salari più alti, per chiedere il rinnovo del contratto nazionale. Solo a Torino erano in 5mila. C’è poi tutto il capitolo agroalimentare, con l’export italiano che trema al solo pensiero di perdere un mercato florido e lucrosissimo come quello americano. A certificare la pesantezza del clima ci sono anche i dati Istat sulla fiducia che, a marzo, è sprofondata. L’indice della fiducia dei consumatori è crollato, da 98,8 a 95 mentre quello delle imprese ha ceduto passato da 94,7 a 93,3. Il rischio, dicono gli analisti, è quello di una contrazione dei consumi.

Intanto, a livello internazionale, il braccio di ferro continua. I dazi di Trump, anche quelli all’Eurozona, entreranno in vigore il 2 aprile mentre l’Ue si riserva ancora del tempo per rendere pubblica la sua controffensiva che sarà improntata al massimo rigore. La verità, però, è che dietro c’è il grande fallimento della strategia di Bruxelles. Che, nonostante gli sforzi, e nonostante gli acquisti di gas e l’annuncio di un piano di riarmo che molti denari porterà alle aziende Usa, ha dovuto incassare una pesantissima e cocente sconfitta da parte di Washington. Almeno finora. Il Canada, intanto, ha annunciato di voler “divorziare” dagli Stati Uniti mettendo fine a un’era delle relazioni strettissime tra i due Paesi.


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