Economia

Via ai dazi ma a inguaiare la Ue ha iniziato Biden

di Giovanni Vasso -

epa11839119 U.S. President-elect Donald Trump greets U.S. President Joe Biden as he arrives for inauguration ceremonies in the Rotunda of the U.S. Capitol on January 20, 2025 in Washington, DC. Donald Trump takes office for his second term as the 47th president of the United States. EPA/Chip Somodevilla / POOL


Con l’applicazione dei dazi, inizia l’era del protezionismo americano; in teoria, perché in realtà Donald Trump non fa altro che proseguire un programma preciso che, coinvolge anche la Ue, era già iniziato con la presidenza Biden. L’Europa, oggi, trema di fronte ai dazi che gli Stati Uniti potrebbero decidere di imporre dopo aver decretato le tariffe per Canada e Messico, 25% ciascuno, e Cina (10 percento, almeno per ora). Trump ha promesso “qualcosa di sostanziale” per rimettere a posto la bilancia commerciale tra gli States e il Vecchio Continente, confermando la volontà di voler gravare di dazi anche le merci provenienti dall’Ue. Da buon vecchio heel (Trump è pur sempre un grande appassionato di wrestling e sul ring, quello della Wwe e della politica, ha mostrato di saperci stare alla grande), il presidente americano lancia la sfida e fa crescere l’heat, la contrarietà del pubblico. Eppure, quando qualcosa di simile era stata fatta da quel babyface di Joe Biden, nessuno s’era agitato più di tanto. Ricordate? Intel avrebbe dovuto investire miliardi in Europa per la produzione di chip sul suolo comunitario (per un momento ebbe a sognarne l’arrivo pure il Veneto e l’Italia), a settembre scorso tutto è sfumato, ufficialmente. Perché Joe Biden, il buono, decise di richiamare tutte le aziende che producevano all’estero con l’Inflaction Reduction Act. Per far digerire agli alleati occidentali quella mossa, si iniziò a parlare di lotta alla Cina che, in fondo, pur era tra gli obiettivi centrali del reshoring Usa. Insomma, coi dazi Trump non s’è inventato granché di nuovo, quello che cambia è semmai il rumore di fondo. All’Europa, per come stanno andando le cose, l’Ira di Biden (che ha congelato e fatto saltare investimenti e posti di lavoro su innovazione e hitech) ha causato danni che, con ogni probabilità, nemmeno la corsa forsennata avviata dalla Commissione puntando la “bussola sulla competitività” riuscirà a porre rimedi nel breve e medio periodo. L’Ue oggi paga le scelte di anni. Gli Stati Uniti non hanno scordato il “no” al Ttip, all’accordo di libero scambio transatlantico, dopo quattordici, defatiganti, round di negoziati. “L’Ue ci tratta in modo orribile”, ha ripetuto Donald Trump che, evidentemente, quel niet non l’ha digerito dal 2016 a oggi. Il guaio è che, da allora a oggi, per l’Ue è cambiato praticamente tutto. Non c’è più gas dalla Russia, c’è la guerra commerciale con la Cina. Saltata, definitivamente, la dottrina Merkel, spernacchiata. L’Europa si ritrova in balia degli eventi e si riscopre debole, fragile, senza programmazione né risorse, piena di lacci, regolamenti e burocrazie. Ma non è (solo) colpa di Trump. È una storia che parte da più lontano e comincia con Biden per finire ai dazi.


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