Dall’Ue meno follie green e più impulso alle imprese
Parla di sfide e di competitività, di abbattere le barriere interne e di armonizzare le norme, Mario Draghi, intervenuto nei giorni scorsi al Parlamento europeo a Bruxelles per la Settimana parlamentare europea 2025. Un lungo e ispirato discorso, nel quale non mancano buoni propositi e belle intenzioni: “ l’Ue è stata creata per garantire pace, indipendenza, sicurezza, sovranità e poi sostenibilità, prosperità, democrazia, equità”. Sulla carta, certo. E non manca neppure la più classica delle call to action, in perfetto stile da “uomo del fare”. Perché “l’economia europea ristagna mentre gran parte del mondo cresce”, rileva, e dunque “la risposta deve essere rapida, perché il tempo non è dalla nostra parte”. Non che ci volesse un illustre economista, già presidente della Bce per intuirlo e per rilevare che tale risposta debba “essere commisurata all’entità delle sfide e focalizzata sui settori che guideranno l’ulteriore crescita”. Basti pensare che nel nostro Paese, ed è appunto cosa nota, le sole imprese operanti nei settori trainanti del Made in Italy – automotive, manifatturiero agroalimentare, arredamento, per citare quelli più “iconici” – occupano 2,1 milioni di lavoratori, generano 454 miliardi di euro di fatturato e 193,4 miliardi di export sul totale di 420 miliardi di tutta la produzione italiana. E fra questi settori rientra l’industria della ceramica italiana, che ben rappresentata quell’insieme di caratteristiche, dalla qualità al design alla pregevolezza dei materiali, che i consumatori associano ad un prodotto italiano. E che purtroppo sta attraversando una fase critica, con un calo significativo dovuto sia alla diminuzione delle esportazioni che alla riduzione delle vendite sul mercato interno. E uno dei principali problemi è legato all’aumento vertiginoso dei costi energetici, accentuato dall’abbandono del gas russo, che ha messo a dura prova la competitività delle aziende del settore. Bene ha fatto Draghi a sottolineare in Europa quanto sia necessario “ridurre i prezzi dell’energia, puntate sulla decarbonizzazione e sullo sviluppo di energie rinnovabili”. E ha anche aggiunto, deo gratia, che “la decarbonizzazione non può significare la perdita di posti di lavoro verdi” e che “dobbiamo garantire condizioni di parità per il nostro settore innovativo delle tecnologie pulite, in modo che possa beneficiare delle opportunità della transizione”. Del resto dopo cinque anni di Green Deal e di ambientalismo ideologico sostenuto e propagandati dell’Esecutivo Ue che ha enormemente ostacolato e danneggiato l’industria energivora europea mentre Usa e Cina spingevano sulla competitività delle loro aziende manifatturiere, sarebbe stato quantomeno miope non rendersene conto. Ne sono ben consapevoli gli imprenditori e per fortuna anche gli 57 europarlamentari, di tutti gli schieramenti politici e di 15 diversi stati membri, che nei giorni scorsi hanno firmato e inviato ai vertici della Commissione von der Leyen un documento per chiedere che l’imminente Clean Industrial Deal, cioè il piano pluriennale per dare impulso alle industrie europee ad alta intensità energetica, includa misure concrete per le piccole e medie imprese e i distretti energivori, con particolare attenzione al comparto ceramico e le coinvolga in modo strutturale nei processi decisionali. E soprattutto non sia penalizzante come lo è stato il Green deal.
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