Dall’Europa un colpo fatale all’economia ittica italiana
L’Europa si appresta a sferrare un colpo fatale all’economia ittica italiana. Non si arresta la politica di demolizione delle imbarcazioni da pesca , che dura da trent’anni. Difatti, Il Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste ha pubblicato, lo scorso 17 luglio, il Decreto Direttoriale n. 319453 recante individuazione delle risorse e dei criteri per l’erogazione degli aiuti alle imprese di pesca che effettuano l’arresto definitivo dell’attività di pesca ai sensi di quanto previsto dall’articolo 20 del Regolamento (UE) 2021/1139 (FEAMPA). Continuando così, alla fine del secondo decennio del terzo millennio oltre 9 prodotti ittici su 10 sulle tavole degli italiani potrebbero essere di importazione per mancanza di imprese e di lavoratori della pesca. Possibile? Certamente si, a guardare i dati che dipingono una situazione a dir poco scandalosa. Nel silenzio delle istituzioni politiche italiane.
Oggi le statistiche sono dure quanto inconfutabili: l’80% del pesce che consumiamo in Italia è importato, mentre solamente il 20% proviene dall’attività di catture delle nostre imbarcazioni.
Risalta anche agli occhi dello sprovveduto come il Belpaese, baciato dal mare e perimetrato da circa 8300 chilometri di costa, dipenda dall’estero per il consumo di prodotti ittici. Come se l’Italia fosse uno stato senza sbocco a mare. Ed ancora, è come se dai primi di maggio di ogni anno iniziassimo a consumare esclusivamento il prodotto importato. Eppure la storia ci ha insegnato che gli italiani sono stati maestri nella navigazione e nel settore della pesca, addirittura eccellenze. Basti immaginare la straordinaria capacità della flotta siciliana della pesca d’altura di costruire un sistema di lavoro che ha dato occupazione a decine di migliaia di pescatori che se sommati all’indotto, contribuivano in maniera importante alla ricchezza prodotta dall’Italia. Almeno fino agli inizi degli anni ‘90 dello scorso secolo. Perché con l’entrata in scena dell’Unione Europea e la centralizzazione della politica estera sulla pesca marittima le cose sono cambiate completamente. Sotto il nobile scopo di lottare al sovrasfruttamento della capacità di cattura delle flotte comunitarie, soprattutto nel Mediterraneo, ha avviato una politica di arresto definitivo dell’attività di pesca, demolendo migliaia di imbarcazioni e riducendo a più del 60% il livello degli occupati.
Erano 20486 le imbarcazioni italiane operanti nel 1992 nel mar Mediterraneo, ridotte a 12202 nel 2022 (fonte studio Cisl). Il sospetto è che nel corso di questo trentennio i burocrati di Bruxelles abbiano realizzato il delitto perfetto: azzerare la flotta italiana per ingrossare le tasche dei pochi importatori, magari assidui frequentatori dei corridoi belgi. Chissà! All’Italia è costata la perdita di almeno 15 mila pescatori, ridotti oramai a circa 20 mila. Una perdita in termini produttivi, di valore e occupazionali. In estrema sintesi, il rischio è che l’Italia perda addirittura il patrimonio di millenni di attività di pesca.
Perchè lo affermiamo? Non solo per quanto la statistica ci riporta ma anche per due elementi di assoluta criticità: da un lato la recente pubblicazione da parte del ministero della manifestazione d’interesse per nuove demolizioni e dall’altro l’assenza totale dell’Unione europea sul versante degli accordi con i Paesi extra Ue che operano nel Mediterraneo con flotte moderne ed innovative, che hanno creato occupazione stabile e che non hanno alcun limite nel pescate in lungo e in largo. Proprio così.
Non solo non si arresta il progetto di smantellamento della pesca italiana a favore della lobby dell’import di prodotti ittici ma di ridurre lo sforzo di pesca nel Medioterraneo non se ne parla. E a quanto pare nemmeno interessa ai vertici burocratici di Bruxelles. Come dire, cornuti e mazziati. L’Italia, sempre distratta quando c’è da difendere i pescatori e le imprese ittiche, resta a guardare alla finestra, lasciandosi scippare fette di economia, di produzione e di ricchezza.
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