Dal reality alla realtà: i The Borderline chiudono i canali social “Ora pensiamo solo a Manuel”
Esami tossicologici più approfonditi per capire a quando risaliva l’assunzione dei cannabinoidi da parte dello youtuber Matteo Di Pietro, indagato per l’omicidio stradale di Manuel Proietti di 5 anni avvenuto a Casal Palocco, alle porte di Roma. Egli guidava una Lamborgini presa a noleggio per girare un video del gruppo “The Borderline”. E c’è anche il mistero su chi fosse a bordo della supercar oltre a Di Pietro e l’amico Vito Loiacono, che collaborava nella produzione delle gare sportive con l’assegnazione di un titolo coinvolgendo centinaia di migliaia di follower sui social, che consentivano lauti incassi pubblicitari ai protagonisti.
CHIUSURA CANALE
Domenica sera c’è stato l’annuncio della chiusura di “ TheBorderline”, costituito nel 2020 dal gruppo di youtuber guidato da Di Pietro, che in tre anni ha coinvolto milioni di utenti sul web e 600 mila iscritti. Gli autori dopo la tragedia di mercoledì scorso, nella quale la Lamborghini Ursus a 110 all’ora ha ucciso Manuel travolgendo la macchina su cui viaggiava con la mamma e la sorellina, nel quartiere della Capitale hanno deciso cessare l’attività manifestando – finalmente! – alla famiglia della vittima “il massimo, sincero e più profondo dolore – aggiungiamo noi con un certo ritardo – per quanto accaduto che ha lasciato tutti segnati con una profonda ferita e nulla potrà mai più essere come prima”. Se l’ambizione dei “ TheBorderline” era sempre stata quella di offrire ai ragazzi “un intrattenimento con uno spirito sano” ancorché spesso al limite, la tragedia ha cambiato radicalmente prospettiva e la ferita “è talmente profonda che rende per noi moralmente impossibile proseguire questo percorso. Pertanto, il gruppo TheBorderline interrompe ogni attività con quest’ultimo messaggio. Il nostro pensiero è solo per Manuel”.
L’ANALISI
“Se il padre di Matteo Di Pietro prende a noleggio una Ferrari e si esibisce, con il figlio accanto, senza avere allacciato la cintura di sicurezza – analizza Lino Cavedon, psicoterapeuta ed esperto del mondo giovanile per avere guidato per anni il Consultorio dell’Ulss 4 in Veneto -, dimostra palesemente allo stesso un bel po’ di cose: anzitutto che il figlio è legittimato nel cercare di esibire socialmente uno stile tronfio ed altezzoso, in virtù di un meccanismo di identificazione nel genitore; in secondo luogo che sembrare è decisamente più importante che lavorare sodo per costruire una propria personalità e per essere se stessi raggiungendo obiettivi con impegno e con merito”. Per un ventenne youtuber rappresentarsi un copione di successo prendendo a noleggio un Suv Lamborghini, sparandolo al massimo della velocità, significa riconoscere che l’essere presente nel web è l’obiettivo.
STUPIDITA’ E PUNIZIONE
“Nella rete non c’è il mettersi in gioco sul piano della realtà, accettando l’impegno di apprendere qualcosa di nuovo – aggiunge Cavedon -, non ci si misura con la frustrazione dell’insuccesso, non ci si allena alla pedagogia della fatica, non si collabora con altri al fine di raggiungere il risultato. Nel web non si muore mai, si vince sempre e si alimenta il senso di un io delirante che non si nutre di azioni concrete, ma di finzioni. Si finge così tanto di essere che non ci si rende conto di continuare ad alimentare il senso del vuoto”. Ecco che le regole sembrano costruite per i deboli. “La circostanza grave come in questa tragedia – sottolinea lo psicoterapeuta – è che l’altro non esiste, non si attua pertanto l’esperienza dell’empatia. L’altro è strumento, mezzo per alimentare il proprio successo nichilistico. Diffondere poi sul web ore di registrazione delle proprie riprese eroiche sembra una sorta di inno patologico alla propria stupidità. Distruggere diventa azione riparativa di quel vuoto, anche se non si raggiunge mai un vissuto di adeguatezza e di autostima. Distruggere non è mai costruire. Anche la morte di una creatura di soli 5 anni inizialmente non ha più di tanto sconvolto i cinque giovani nella corsa folle verso l’illusorio”. Ora per tutti serve una sana dose di realismo. “Qualcuno di loro oserà piangere – conclude Lino Cavedon – conscio del dramma che ha causato. La tragedia è anche nel fatto che questi ragazzi sono figli di una cultura che è propagandata in maniera euforica e non hanno saputo ritagliarsi lo spazio per produrre pensieri propri, per scoprire le proprie attitudini e per impegnarsi in un progetto di vita sano. Questi giovani vanno puniti: hanno sbagliato, ma in pari misura vanno rieducati o, nella peggiore delle ipotesi, educati. Non a caso si sono chiamati the borderline”.
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