Dal Covid a Israele: Processo ai social del mordi e fuggi
Dal Covid a Israele: Processo ai social del mordi e fuggi
di EDOARDO GREBLO e LUCA TADDIO
Uno dei drammi del nostro tempo è rappresentato dalla difficoltà di tradurre la smisurata quantità di informazioni da cui siamo quotidianamente sommersi in una forma di conoscenza sicura e affidabile. I giganti high-tech come Google, Facebook, Baidu e Tencent catturano la nostra attenzione fornendoci informazioni gratuite e a getto continuo, senza però preoccuparsi di distinguere tra quelle vere e quelle false, o semplicemente irrilevanti. Mentre le vere conoscenze vanno prese come fallibili, alle informazioni liberamente disponibili in rete manca l’intrinseca possibilità di essere assorbite e analizzate, e pochi dispongono del tempo e delle energie necessari a verificare le fonti. Inoltre, l’informazione in rete è sempre più personalizzata.
I social in modo particolare, ma anche i motori di ricerca non offrono a tutti gli stessi contenuti, ma distribuiscono informazioni ritagliate sul profilo degli utenti in base ai loro gusti, interessi e preferenze. Tutto ciò accentua la tendenza a personalizzare temi, problemi e argomenti, mescolare informazione e divertimento, privilegiare atteggiamenti espressivi e trattare i contenuti in modo da frammentare i contesti in forma episodica. Questi fenomeni, in atto ormai da tempo ma che hanno raggiunto un punto di saturazione tale da sommergere i cittadini in un caos informativo nel quale riesce sempre più difficile orientarsi, sono stati accelerati dalla rivoluzione digitale. La rete, che ci mette a disposizione una smisurata quantità di informazioni, non ci offre gli strumenti critici per interpretarle, per distinguere ciò che è importante da ciò che è insignificante, ciò che è essenziale da ciò che è aneddotico. Per questo, come ha osservato Yuval Harari, “in un mondo sommerso da informazioni irrilevanti, la chiarezza è potere”. Tanto più che, in generale, l’abbondanza di informazioni è correlata meno all’importanza dell’evento che alla facilità di osservarlo.
E ciò contribuisce a fare in modo che le notizie si consumino in fretta: la Russia aggredisce l’Ucraina e il Covid non esiste più, il terrorismo di Hamas fa strage di civili in Israele e l’Ucraina “scompare” dalle prime pagine, si affaccia all’orizzonte la minaccia di un nuovo disordine globale e l’immigrazione diventa secondaria. Questa tendenza “consumistica” può essere però dannosa per il ruolo che un’informata opinione pubblica dovrebbe avere nel condurre in certe direzioni l’impiego del potere amministrativo. Per condizionare il potere politico in modo non episodico e fluttuante, le preferenze e le opinioni dei cittadini dovrebbero emergere dal flusso dissonante di informazioni liberamente interpretabili, ma attendibili e verificabili.
Ormai è risaputo che la rivoluzione digitale ha giocato un ruolo fondamentale nell’acuire la crisi delle mediazioni partitiche e istituzionali, poiché mette a disposizione di chiunque un canale espressivo privo di filtri e permette l’esternazione non argomentata di ogni emozione e di ogni sentimento. Nel web, che esalta il potere dei sentimenti e dei simboli, prevale un linguaggio immediatamente espressivo dei vissuti privati, che si traduce in giudizi personalizzati sulle situazioni e trasforma le questioni strutturali in “casi umani”.
Si forma così un “pubblico” composto da innumerevoli individui solitari, ciascuno isolato in una sorta di bolla culturale che gli impedisce di aprirsi alle informazioni che risultano dissonanti rispetto alla sua prospettiva e in cui il sentimento immediato di ciascuno si incontra con i sentimenti degli altri. A tutto ciò si aggiunge il fatto che i consumatori dei media, tradizionali o social, non si limitano più a ricevere passivamente i contenuti confezionati dagli altri. Questo processo di (presunta) disintermediazione ha segnato la fine del monopolio degli interpreti della realtà, di coloro che selezionano i fatti, li combinano per creare una narrazione che interpreta l’esistenza in modo da poter essere compresa e condivisa. La logica dei clic, delle notizie alternative, dell’opinione spontanea, della mobilitazione attraverso la rete e dell’amplificazione delle percezioni personali a scapito della conoscenza ragionata hanno ridotto la rilevanza della stampa, dei partiti politici, dei sindacati e persino dei dibattiti parlamentari quali intermediari necessari alla formazione di un’opinione e di una capacità decisionale informata. Sono molti a essere convinti che il mondo sia a portata di clic, spesso però senza rendersi conto che si tratta di un mondo filtrato algoritmicamente.
Il fatto che nei social siano le manifestazioni di espressività emotiva a generare i maggiori riscontri e che il numero di emoticon o clic positivi sia segno del loro valore disabitua i cittadini-utenti a preservare nel tempo un grado critico di attenzione quando si tratta di distinguere tra le “notizie” vecchio stile e quelle che un tempo si chiamavano chiacchiere, voci, pettegolezzi. E li porta invece ad acquisire quella tendenza a consumare unicamente le notizie fresche e “di giornata”, le sole capaci di suscitare quelle forme di coinvolgimento emotivo che rappresentano lo sterile surrogato di un’autentica partecipazione civica. Resta ancora, per fortuna, a disposizione di cittadini per i quali l’informazione a cui guardare non è definita dal primo risultato di ricerca di Google, la carta stampata, capace di creare una contemporaneità non effimera nel mondo dell’opinione.
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