Cultura & Spettacolo

Dai balletti su TikTok a una setta religiosa

di Martina Melli -


Dancing for the Devil, la nuova docuserie Netflix in tre episodi, offre uno spaccato inedito dello spirito del nostro tempo. Chi l’avrebbe mai detto che diventare una star della danza sui social media potesse essere così pericoloso?! Un gruppo di ballerini TikToker di Los Angeles approda a 7M Films, una società di produzione gestita da Robert Shinn, che è, tra le altre cose, il pastore della chiesa su invito “Shekinah”. Il regista Derek Doneen sviluppa il racconto partendo da Miranda e Melanie Wilking, due sorelle profondamente legate dal sogno di diventare ballerine. Le ragazze – intuita la potenzialità delle piattaforme web – aprono un profilo su TikTok che raggiunge i 3,3 milioni di follower. Vediamo diversi ballerini descrivere questa fama online come una valida fonte di reddito senza però spiegare concretamente da dove vengano le entrate. Robert Shinn, che definisce 7M una “società di gestione dei talenti”, ha in realtà individuato una grande opportunità in questo mix di povertà, ambizione e ingenuità che accomuna i giovani creativi nella sua orbita. Sono numerosi infatti i ballerini che si sono affidati a lui e alla 7M: Shinn gestisce le loro collaborazioni, fornisce loro un posto economico e carino dove stare, e li “incoraggia” a frequentare regolarmente la Chiesa e a dedicarsi a lui in quanto “uomo di Dio”. Tra i ragazzi coinvolti in quella che si intuisce subito essere una setta, c’è anche Miranda Wilking che, così come gli altri, inizia ad allontanare la propria famiglia. Secondo le testimonianze degli ex membri e le registrazioni di Shinn, la Chiesa infatti predica di “morire a se stessi” e ai propri cari in funzione di una presunta rinascita. Uno dei momenti più sconvolgenti è quando Miranda, dopo aver tagliato quasi tutti i contatti con i genitori, accetta finalmente di incontrarli solo per trasmettere l’evento in diretta streaming. Se il primo episodio è tutto incentrato sulla battaglia della famiglia di Miranda per riaverla indietro, il racconto negli altri due diventa più cupo e aggiunge tasselli alla personalità manipolatoria e al potere incontrastato di Shinn (che nega tutte le accuse). La serie sostiene infatti che (nel migliore dei casi) Shinn attiri giovani belli e ambiziosi per rubare i loro guadagni. In realtà fa molto peggio. Oltre ai Wilking, nella docuserie vengono intervistati alcuni ex membri di Shekinah. Tramite la storia di una donna in particolare, che ha trascorso ben 23 anni nella setta tra abusi di varia natura e violenze fisiche e psicologiche, ci rendiamo conte di come il pastore abbia trovato il modo di controllare gli adepti per decenni, molto prima dell’avvento di TikTok. Molto interessante l’accento che il regista pone sulla vita post-Shekinah, il lungo percorso di guarigione dei sopravvissuti verso l’elaborazione e il perdono di se stessi.


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