Il ministro Crosetto indica la cybersicurezza ma il saggio guarda (anche) la pubblica amministrazione nella sua interezza. La rabbia di Guido Crosetto è la frustrazione dell’Italia che scopre, dopo anni di cure dimagranti, di turnover bloccati e di pauperismo un tanto al chilo, che i talenti più importati preferiscono non andarsi a impelagare con la Pa ma scelgono di andarsene altrove. E così lo Stato si ritrova sguarnito, senza risorse, senza strategie, ingabbiato in un eterno annaspare, senza la possibilità di dare una vera sterzata alle cose. È già accaduto col Pnrr, quando i governi Draghi e poi Meloni dovettero, di corsa, sottrarlo ai Comuni palesemente sottorganico e senza le competenze giuste per affrontare una sfida epocale come quella. Sta succedendo, come sottolinea Crosetto, con la cybersicurezza: “Noi abbiamo un problema che le nostre regole del pubblico impiego sono totalmente incompatibili per affrontare i tempi in cui viviamo. Lo dico prendendomi la responsabilità. Il blocco a 240 mila euro è una cosa che va bene per prendere qualche voto, non va bene per avere le migliori competenze che servono a un Paese per affrontare queste sfide. Perché con 240 mila euro, faccio l’esempio sulla cyber, non trovi neanche il più sfigato degli hacker”, ha tuonato Crosetto. E ha affermato: “Gli esperti in questo settore nel mondo sono in parte molto rilevante italiani ma non ce n’è uno che ha interesse a lavorare in Italia. Perché hanno anche un interesse economico, ed è legittimo. E allora ci troviamo le intelligenze italiane sparse per il mondo e che portano la loro capacità in aziende private e anche pubbliche. È un tema che dobbiamo porci, altrimenti non avremo le competenze umane per competere”. E sul quale occorre far presto.