Cuba, in viaggio nell’isola che insegna come si batte la crisi
di FRANCESCO NICOLA MARIA PETRICONE
Quel gran genio del mio amico, con le mani sporche d’olio, doveva essere cubano. Perché molto più di buttare, qui, è meglio riparare. Il trasformatore del proiettore che hanno preparato nell’Aula ‘Julio D. Fernandez Bulté’, Universidad de La Habana, sembra uscito dall’officina di Guglielmo Marconi. Ferro massiccio, con i cavi elettrici a doppino, diversi dai nostri standard. Eppure, funziona, a meraviglia, ed è sicuro. Come tutto il resto, che non si butta, ma si aggiusta. Perché che sia un cacciavite, una chiave inglese, si ripara tutto, facendo miracoli.
A Cuba, è come nel film ‘Back to the future’. Con automobili degli anni Cinquanta, trasformate da pezzi di ricambio e parti meccaniche contemporanee, che ancora rombano e viaggiano nel 2024. Come schegge. Da un anno e mezzo, prova a viaggiare anche l’economia. Lentamente, ma si muove. Se prima, fino al 2022, era difficile trovare una Crystal, la birra più comune, neanche una Bucanero, oggi l’isola si è messa in cammino, di nuovo. Il Vedado, e non solo La Habana Vieja, è tempestato di piccoli locali luccicanti, aperti fino a notte fonda. Le stesse ‘mini pime’, le piccole e medie imprese, offrono cene tipiche e musica e raccolgono turisti che da ogni parte del mondo si riversano nelle strade.
“Siamo ripartiti, lentamente, ma siamo in marcia” dice Ernesto, responsabile della Casa Punto M, ad un passo dall’università. È l’entusiasmo del piccolo, libero mercato che si affaccia anche nelle ‘tiendas’, i mini-alimentari fioriti nelle case private. “Vai in quella in Avenida M, tra la 23 e la 25” dice Rafael, l’autista del ‘coco’, l’ape scoperta che accompagna nei trasferimenti. Questa via cubana al capitalismo leva i primi passi, anche nel resto del paese.
Ci spostiamo verso est, destinazione Universidad de Cienfuegos. Trasferimento in taxi ‘colectivo’, 30 dollari a persona, per oltre duecento chilometri di strada. Insieme ad un tedesco, una coppia di cileni, una di colombiani e due donne della Basilicata, di cui una cubana, Teresita. Sembra una barzelletta, ma non lo è. Perché il turismo qui non è uno scherzo, anzi. “Abbiamo ripreso finalmente, dopo la COVID” dice Rommel, proprietario della Casa Amigos del Cubanito, nel centro della ‘linda ciudad del Mar’, Cienfuegos, mentre ripara un boccaglio da sub con fil di ferro e punteruolo, con la perizia di un chirurgo. Anche qui, turisti da ogni parte del mondo si godono il mare cristallino di Playa Rancho Luna. “Dobbiamo stare attenti a tutto, però, senza buttare nulla” aggiunge in italiano perfetto. Soprattutto al carburante. Perché il ‘petroleum’ è ora la vera sfida nell’isola. Il rischio? Passare da Ovest a Est e rimanere a secco. Scommessa accettata, per la destinazione finale: Universidad de Oriente, a Santiago di Cuba, settecento chilometri a oriente di Cienfuegos. Questa volta, insieme a Nicell, bibliotecaria afrocubana della scuola primaria Pepito Tey, di Trinidad de Cuba. “Una perla di architettura coloniale, una delle più antiche dell’isola, risalente all’inizio del 1500” racconta, mentre insieme percorriamo il centro di Trinidad ancora fatto di ‘sassi’. Ai lati delle ‘calles’, un po’ sgarrupate, scorrono aiuole ben curate ed erba rasata. “Il turismo sta riprendendo, grazie anche ai nostri investimenti” dice Giovanni Antonini della Toma srl, che qui e a La Habana sta costruendo alberghi. Il viaggio è ancora lungo per arrivare a Santiago de Cuba. Giusto il tempo di qualche nuotata alla penisola Ancon e si riparte. Prima tappa Camaguey. Ci accoglie Efisio Figus, da Sant’Antioco, Sardegna, nel suo ‘Casa Italia’, prestigioso ristorante italiano e bed and breakfast. “Perché mi sono fermato qui? Indovina!” Mi dice, mentre sorride alla moglie Erenia, che con lui gestisce l’attività. Una notte sola e si riparte, con la ‘guagua’. La corriera di Viazul ci aspetta. Perché è tempo di raggiungere la destinazione finale, Santiago di Cuba. L’antica capitale.
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f.petricone1@lumsa.it
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