Export, tassi ed energia: quanto ci costerà la crisi del Mar Rosso
Nelle immagini postate su X dal comando centrale degli Stati Uniti (Centcom), il materiale sequestrato durante un'operazione dei Navy Seals statunitensi che hanno abbordato un'imbarcazione vicino alla costa della Somalia nelle acque internazionali del Mar Arabico. Il materiale era destinato alle milizie Houthi dello Yemen, 16 gennaio 2024. X CENTCOM +++ATTENZIONE LA FOTO NON PUO' ESSERE PUBBLICATA O RIPRODOTTA SENZA L'AUTORIZZAZIONE DELLA FONTE DI ORIGINE CUI SI RINVIA+++ NPK++
È un’epoca di guerre che, da locali, si sono fatte globali. Le bombe cadono in Ucraina e i prezzi del gas esplodono in Europa. Ora si spara a Gaza e i conti rischiamo di pagarli noi. Già, perché gli Houthi dello Yemen hanno iniziato un’offensiva che sta rendendo impossibile la navigazione nel Mar Rosso scatenando l’ennesima crisi. Così facendo, i ribelli yemeniti, che hanno subito nei giorni scorsi un raid congiunto Usa-Gran Bretagna, hanno chiuso la porta principale dei collegamenti tra il Medio Oriente, l’Indo-Pacifico e il Mediterraneo. Si tratta di un corridoio decisivo per gli scambi internazionali, da qui passano decine e decine di milioni di tonnellate di merci l’anno. Ora, però, attraversarlo è impresa ardua. E i commerci internazionali sono davvero a rischio. E l’Europa rischia di ripiombare nell’incubo della crisi. In primo luogo quella energetica. Faceva caldo all’hotel Edelweiss di Davos, quando il premier del Qatar, lo sceicco Mohammed bin Abdulrahman Al-Thani, ha gelato la platea di ricconi e supermanager: “Siamo preoccupati per un’escalation del conflitto del Mar Rosso perché può portare un’escalation ovunque ed è quella maggiormente pericolosa siccome ha effetti sul commercio internazionale”. Dato che alle parole seguono i fatti, QatarEnergy ha bloccato le spedizioni via nave attraverso il Mar Rosso. A Reuters, una fonte informata ha riferito che le rotte sono troppo pericolose adesso. E intanto ci sono tre petroliere cariche di gas naturale liquefatto ferme in Oman in attesa di nuovi ordini o di tempi migliori. Il rischio, se le tensioni dureranno ancora, sarà, per l’Europa, di perdere approvvigionamenti energetici di fondamentale importanza alla luce della rottura dei rapporti commerciali con la Russia.
Quella del Gnl è solo una, per quanto importante, delle partite a rischio. Coldiretti, per dirne una, ha stimato perdite fino a mezzo miliardo di euro per l’export alimentare italiano. E non c’è troppo da sperare nelle nuove rotte: a causa della naturale deperibilità di questo genere di prodotti, infatti, affidarsi a nuovi (e molto più lunghi) percorsi potrebbe non bastare a garantire le spedizioni del Made in Italy. La vicenda, però, non è legata solo al pur lucroso mercato mediorientale. Le imprese italiane che operano in Africa, adesso, hanno paura della crisi nel Mar Rosso: “Gli attacchi stanno spingendo numerosi operatori logistici a considerare la circumnavigazione dell’Africa, con un conseguente aumento notevole dei costi di trasporto e dei tempi di consegna”, ha spiegato il presidente Confindustria-Assafrica Massimo Dal Checco. Importeremo o esporteremo meno merci e dovremo pagarle, o farcele pagare, di più. Potenzialmente, il nodo della logistica è quello che può far saltare tutto il delicatissimo equilibrio che si è costruito negli ultimi anni. Ogni azione comporta una reazione. E se diventa difficile commerciare con l’Asia, lo diventerà, a maggior ragione, anche con l’India. Che l’Italia, e l’Europa, hanno individuato come nuovo partner strategico nello scenario asiatico per creare un’alternativa alle ingombranti partnership cinesi. La via del cotone, dunque, rischia di complicarsi prima ancora di aver sostituito quella della seta. Ma il dialogo commerciale potrebbe diventare impossibile anche coi porti cinesi. La via d’acqua che attraversa il Mar Rosso, oggi attanagliato dagli attacchi e in piena crisi, è quella attraverso cui passa, secondo i dati di Assoutenti, almeno il 40% del flusso import-export italiano. Tra cambi di rotta e maggiori costi, secondo l’associazione dei consumatori, c’è da aspettarsi un impatto capace di ingenerare una nuova spirale inflattiva. Che, seppur fosse contenuta all’1%, comporterebbe un aggravio di uscite, per le famiglie italiane, pari a oltre 400 euro l’anno. Senza considerare che se l’inflazione dovesse tornare a salire, la Bce potrebbe scegliere di rimandare, ulteriormente, i tagli ai tassi. Un’ipotesi che rischierebbe di mettere in ginocchio, definitivamente, l’economia del vecchio continente. Che, peraltro, ha già dovuto registrare il clamoroso flop del Pil della Germania che ha perduto, nel 2023, lo 0,3%. Restare un altro anno in territorio regressivo non è, però, idea lontana dalla sensibilità dell’Eurotower. Anzi.
Dopo il gelo del Qatar, all’hotel Edelweiss di Davos è stato il governatore della banca centrale austriaca, Robert Holzman, a far calare il freddo polare: “La minaccia geopolitica è aumentata perché ciò che abbiamo visto finora con gli Houthi, e penso che non sia la fine, potrebbe essere l’inizio di qualcosa di molto più ampio che avrà un impatto sul Canale di Suez e farà aumentare i prezzi lì”. Con queste premesse, ha affermato Holzmann, “non si dovrebbe assolutamente scommettere su un taglio dei tassi nel 2024”.
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