Crisi della fede e radici culturali del Cristianesimo
Sembrano ormai lontani i tempi in cui la centralità della fede per la maggior parte delle persone era normalità e Gesù era al centro della nostra esistenza o perlomeno si aveva rispetto e in parte anche timore del sacro. Quanti ricorderanno il fatto che da bambini ci si recava a messa con regolarità in quanto non solo abitudine ma perché il Signore aveva forse una considerazione diversa nella società. Ebbene, da una visione di partenza di questo tipo, che potrebbe sembrare quasi esagerata, si è passati oggi all’abbattimento del sacro o perlomeno alla sensazione che si possa vivere senza, come se l’esistenza umana bastasse a sé stessa. In tale direzione va l’Era dell’acquario o la New Age che stiamo vivendo con non pochi contraccolpi sulle nostre vite, spesso frenetiche e quasi vuote in quanto orientate al nichilismo e al consumismo, e quindi, all’apparire e non all’essere.
A tal proposito come non ricordare che l’uomo in termini ancestrali fin dai tempi preistorici è alla ricerca del Divino che nelle varie epoche si va ad identificare in vari modi e con vari nomi, in quanto l’essere umano è pronto ad adorare ogni fenomeno inspiegabile definendolo Dio (paganesimo e tanti dei a cui sottostare). Infatti, da quel fenomeno, si è passati successivamente alla fase del monoteismo e in tempi moderni ad abbracciare le religioni orientali o il buddismo come auto illuminazione di sé stessi.
Pertanto, bisognerebbe riflettere bene sulla recente indagine svolta dal Censis per conto della CEI, con la quale sembrano annunciarsi tempi complessi per la Chiesa italiana. Infatti, da tale rilevazione, i giovani sembrerebbero essere sempre più distanti dalla fede; solo un italiano su dieci è praticante. Solo pochi italiani – circa quattro solamente su dieci – vedono i sacerdoti come persone alle quali rivolgersi per farsi consigliare (cosa che invece una volta era più automatica). Tale distacco progressivo è frutto della secolarizzazione e dei tempi che cambiano da una parte, ma anche di un lungo processo culturale relativo, per esempio, alle attenzioni sessuali ed alla piaga della pedofilia oppure a preti visti come manager, che sconvolge le coscienze.
Anche se è disarmante questo progressivo calo e disaffezione nei confronti della fede, dall’altro canto bisogna rilevare comunque un aspetto positivo che riguarda le nostre radici culturali ancora legate al cattolicesimo. Infatti, almeno sette italiani su dieci si sono definiti cattolici.
D’altronde, già nella cultura religiosa della Grecia antica, esisteva il culto con il fine di mantenere la concordia con gli dei, e non celebrare loro il culto significava provocarne in qualche modo l’ira, da qui il “timore” già richiamato in precedenza. Già Erodoto quindi (484 a.C.-425 a.C.) nella sua opera le Storie fu motivato verso un relativismo religioso, attraverso un confronto anche con le culture definite barbare o incivili. La concezione romana di “religione” invece (religio) corrisponde alla cura nei confronti dell’esecuzione del rito a favore degli dei, rito da ripetere correttamente fino ad appagare la Divinità. Pertanto, in un ambito più aperto, i romani accoglievano comunque tutti i riti che non contrastassero con il mos maiorum dei tradizionali riti religiosi, ovvero con il costume degli antenati. Quando nuovi riti, e quindi novae religiones, venivano a contrastare con il mos maiorum questi venivano proibiti: fu il caso, ad esempio e di volta in volta, delle religioni ebraica, cristiana o di altre credenze, anche se bisogna riconoscere che nei vari secoli Roma a volte consentì anche il libero culto della religione dei popoli assoggettati o inglobati nell’impero con il solo fine della pace sociale e la eliminazione di ribellioni.
In ogni caso, riteniamo vi sia ancora necessità di credere. Anzi, in tal senso, possiamo concludere citando Benedetto Croce, il quale affermava: “Perché non possiamo non dirci cristiani” e alla luce del rapporto sopra descritto e della modernità che stiamo vivendo, questa frase si può considerare sicuramente ancora più significativa.
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