Crac Bpvi, illegittima la confisca da 1 miliardo a Zonin e i top manager
La confisca di quasi 1 miliardo di euro per i quattro protagonisti del crac della Banca Popolare di Vicenza (Bpvi) insolvente dal 25 giugno 2017, a cominciare dal presidente Gianni Zonin, 88 anni, (nella foto), è illegittima perché contrasta col principio di proporzionalità delle pene stabilito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. A stabilirlo è la Corte Costituzionale che, accogliendo il ricorso della Corte di Cassazione e degli avvocati Enrico Ambrosetti e Tullio Padovani, sancisce con la sentenza depositata ieri che l’obbligo della confisca per equivalente dei beni degli imputati Gianni Zonin, Andrea Piazzetta e Massimiliano Pellegrin – condannati in Appello a pene variabili da 3 anni 11 mesi a 3 anni 4 mesi di reclusione – utilizzati per commettere i reati societari, conduce a risultati “sanzionatori manifestamente sproporzionati” e di conseguenza è incompatibile con la Carta fondamentale degli italiani. Da ricordare che per i Pm le azioni degli imputati avevano causato il dissesto dell’istituto di credito quantificato in svariati miliardi di euro con enormi ripercussioni. Pertanto l’articolo 2641 del codice civile è illegittimo nella parte in cui impone al tribunale di confiscare i beni utilizzati per commettere i reati di aggiotaggio e di ostacolo alle funzioni della vigilanza. Il ricorso alla Consulta era stato depositato dopo il verdetto della Corte d’Appello di Venezia del 10 ottobre 2022 sul tracollo miliardario della principale banca veneta che aveva trascinato in gravi difficoltà quasi 150 mila soci. La Corte aveva revocato la confisca per equivalente di 963 milioni di euro applicata dal giudice di Vicenza ai condannati, ritenendo che questa misura “di natura punitiva, fosse manifestamente sproporzionata rispetto al disvalore degli illeciti, non avendo gli imputati personalmente tratto alcun profitto economicamente valutabile dalla commissione dei reati ed essendo le loro condotte già adeguatamente punite dalle sanzioni detentive inflitte”. Il Tribunale, in precedenza, durante le indagini aveva ordinato in base all’articolo 2641, secondo comma del codice civile, la confisca del miliardo utilizzato per la commissione dell’aggiotaggio e dell’ostacolo alla vigilanza – e cioè all’insieme dei finanziamenti cosiddetti “baciati” che erano stati concessi dalla banca ai soci ed ai clienti per l’acquisto di azioni od obbligazioni dello stesso istituto, considerati funzionali all’alterazione del prezzo delle azioni ed a rappresentare un patrimonio di vigilanza solido –, precisando di non poter procedere alla confisca diretta delle somme nei confronti della banca perché era sottoposta a liquidazione coatta amministrativa. La Consulta disapplicando in parte l’articolo in questione osserva che la confisca per equivalente mira a far sì che il condannato subisca nel suo patrimonio complessivo la medesima perdita economica “che avrebbe sofferto laddove fosse stato possibile eseguire, in via diretta, il trasferimento coattivo degli specifici beni dei quali la legge dispone la confisca; sì da evitare che egli possa continuare a godere delle utilità derivanti da tali beni, una volta che li abbia comunque messi al riparo dalla pretesa ablatoria statale”. Invece, per la Corte Costituzionale resta inalterata la facoltà del giudice, nel rispetto del principio di proporzionalità, di disporre la confisca diretta delle “cose che servirono a commettere il reato” e anche delle somme di denaro usate per violare la legge, a carico di chi risulti in concreto averne la disponibilità. Affermando che non c’era proporzionalità nell’applicazione della norma che disciplinava la confisca subita da Zonin, la Consulta l’ha dichiarata parzialmente incostituzionale. Spetterà al legislatore valutare se introdurre una nuova disciplina della confisca dei beni strumentali e delle somme di valore equivalente, nei limiti consentiti dal principio di proporzionalità, così come previsto in altri sistemi giuridici (ad esempio in Germania) e nella stessa legislazione dell’Unione europea. Resta invece in vigore l’obbligo di confiscare i profitti del reato, in forma diretta e per equivalente, a carico di chiunque abbia effettivamente conseguito le utilità derivanti dal reato. Inoltre, la Consulta mantiene la facoltà del giudice di confiscare al reo i beni utilizzati per commettere il reato previsto dall’articolo 240 del codice penale, nella salvaguardia e il rispetto del principio di proporzionalità. Circostanza, questa, che per i giudici era assente nella confisca da 1 miliardo di euro ai danni di Zonin e i complici che affossarono la Banca Popolare di Vicenza.
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