Così la guerra incide sulle forniture di cereali nel mondo
Sono ormai trascorsi più di 500 giorni di guerra, dopo l’invasione della Russia in Ucraina. Fin da subito, Italia e Europa a fare i conti con effetti che subito sono apparsi essere collegati primariamente all’energia e al fabbisogno che ciascun Paese ha provato in questi mesi a costruirsi. Ma è cambiato tanto altro, forse tutto.
Nei primi mesi di guerra – scrive il Centro Studi Divulga nel paper “Guerra e nuove rotte del cibo”, curato da Felice Adinolfi, Riccardo Fargione, Lucrezia Modesto e Dario Vivani – abbiamo assistito ad un blocco completo delle spedizioni marittime di grano ed altri prodotti agricoli dall’Ucraina attraverso il Mar Nero. Solo con l’Accordo “Black Sea Grain Initiative” siglato a Istanbul, gli approvvigionamenti globali hanno potuto tirare un respiro di sollievo. Ma ora, il mancato rinnovo dell’Accordo pone seri interrogativi sulla tenuta globale dei prezzi e sulla stabilità economica e sociale di molti Paesi, in particolar modo quelli più poveri. Dopo 5 mesi di tensioni sui mercati internazionali, il 22 luglio 2022 veniva raggiunto l’accordo tra Russia e Ucraina con la mediazione di Turchia e Nazioni Unite. La Black Sea Grain Initiative ha permesso di liberare in un anno 33 milioni di tonnellate di prodotti agricoli sui mercati internazionali. Poco più della metà di questi è mais, con 17 milioni di tonnellate. C’è poi un 27% rappresentato da grano, con 9 milioni di tonnellate, mentre il 5% con olio di girasole per 1,6 milioni di tonnellate e il 17% riconducibile ad altri prodotti per 5,4 milioni di tonnellate. Chi se ne è avvantaggiato? Innanzitutto, la Cina. Poi, la Spagna e la Turchia. Ma anche l’Italia, al quarto posto, con il 6,3% del totale. Nel nostro Paese è stato garantito l’arrivo di circa 2,1 milioni di tonnellate di prodotti. Di questi, due terzi costituiti da mais, cruciale per alleggerire le pressioni sui costi degli allevamenti nazionali. Ma anche, in questi dodici mesi, 435mila tonnellate di grano (21,1%) e 100mila tonnellate di olio di girasole (4,9%). Un Accordo Onu risultato, alla fine, vitale per molti dei Paesi più vulnerabili sotto il profilo degli approvvigionamenti alimentari.
Perché il conflitto è servito a ridisegnare le geografie produttive su scala globale, mentre la produzione agricola ucraina si è via via indebolita: durante l’anno scorso nel Paese invaso dalle truppe di Putin è stato seminato il 22% in meno dei terreni, con una perdita di 2 milioni di ettari, pari a quasi tutta la superficie del Belgio. Alla fine, solo guardando al grano, l’annualità 2023 porterà l’Ucraina a registrare un calo produttivo del 47 per cento. La Russia, al contrario, potrà contare nello stesso periodo su un incremento della produzione del 13%. Ugualmente, il fronte delle scorte evidenzierà riserve di grano ucraino che toccheranno nel 2023/2024 i valori minimi di 3,6 milioni di tonnellate, traducendosi in un calo del 66% rispetto all’anno precedente a quello dell’invasione. Un divario che la Russia intende sfruttare per ampliare la propria influenza sui Paesi africani e mediorientali, particolarmente dipendenti dalle forniture internazionali di cereali. Su questo versante, le stime del Dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti d’America prevedono un valore record per l’export di grano russo pari a 45 milioni di tonnellate nel 2022/23, in aumento del 36% rispetto all’anno precedente. E 3,5 milioni di tonnellate in più rispetto al record del 2017/18. Valori che sono ben al di sopra del secondo maggiore esportatore di grano, l’Ue.
Torna alle notizie in home