Cosa ci resta del Padrino – “La cattura”: il libro di Maurizio De Lucia
“La Cattura” non è solo un libro su Matteo Messina Denaro: il viaggio di Maurizio De Lucia e Salvo Palazzolo nella mente del boss. Dal padre, alla casa di famiglia fino ai patti oscuri della politica con un potere criminale che gli sopravviverà
di FRANCESCO DA RIVA GRECHI
E’ uscito da poco “La cattura – I misteri di Matteo Messina Denaro e la mafia che cambia”, un libro molto bello, scritto da Maurizio De Lucia, sostituto procuratore della Repubblica, per 10 anni nella Direzione distrettuale antimafia di Palermo e Salvo Palazzolo, giornalista e scrittore palermitano. Profondo e dettagliato, ad ogni riga ritorna il ricordo e soprattutto l’insegnamento di Giovanni Falcone. La messa a fuoco degli elementi raccolti in vista della cattura passa attraverso lo specchio dell’identità utilizzata dal boss per sfuggire alle ricerche. E arriva la cronaca del 16 gennaio 2023: “l’abbiamo preso”! Ecco perché sono così importanti quegli applausi il giorno dell’arresto dicono i due autori: “perché nulla è scontato di questi tempi. Anzi, il modello di mafia che ha impostato Matteo Messina Denaro dopo la stagione delle stragi rischia di diventare un pericoloso ritorno al passato, quando i padrini venivano cercati per la risoluzione delle controversie più svariate, simbolo di un’autorità che suppliva all’assenza delle istituzioni”. Tre le chiavi di lettura fondamentali: il padre, la Sicilia, lo Stato, ricavabili dai “pizzini”, i messaggi del latitante scambiati con i familiari, nonché con altri mafiosi. È il padre, Francesco Messina Denaro, il suo punto di riferimento.
È l’inizio di tutto. “Mio padre è stato il mio mondo,” scriveva in un passaggio del diario. “La tua causa è stata la mia, mi hai trattenuto come in un campo magnetico, come una calamita. Con una fede assoluta mi sono aggrappato a te, come fosse una tavola nell’oceano di contraddizioni che circondava il tuo, il mio, il nostro mondo.” Quanto oggi i figli di mafia sono attratti dai crimini dei padri mafiosi? Purtroppo devo constatare – scrive De Lucia – che sempre più spesso finiscono nelle nostre indagini cognomi già noti, perché figli o nipoti proseguono le gesta criminali dei loro familiari. Ogni volta che accade, è una sconfitta per tutti noi. Perché vuol dire che la subcultura mafiosa ha fatto altri proseliti. I mafiosi sono così, stravolgono ogni parola dal significato nobile e la rendono davvero pericolosa, che possa influenzare, orientare, costruire una nuova mafia nell’illusione che possa essere buona, quasi fosse un’associazione di mutuo soccorso che corre in aiuto dei più deboli. Racconta De Lucia che durante le indagini segnava su un foglio le parole che Messina Denaro ripeteva più spesso. E mentre lo faceva ricordava che anche don Pino Puglisi aveva fatto una cosa simile: assieme ai suoi ragazzi aveva messo a confronto il Padre nostro con la cultura e la mentalità mafiosa, che in troppe occasioni si sono appropriate di alcune parole di quella preghiera. E’ un peccato non avere qui lo spazio per proseguire. E veniamo alla Sicilia. Scrive Matteo Messina Denaro: “Siamo stati perseguitati come fossimo canaglie, trattati come se non fossimo della razza umana, siamo diventati un’etnia da cancellare.
Eppure siamo figli di questa terra di Sicilia, stanchi di essere sopraffatti da uno Stato, prima piemontese e poi romano, che non riconosciamo, siamo siciliani e tali volevamo restare. Hanno costruito una grande bugia per il popolo, noi il male loro il bene”. È innegabile che sia morto l’ultimo dei partecipanti alle stragi del 1992 e 1993, e simbolicamente può significare la fine del periodo stragista dell’epoca corleonese. Ma la mafia non è finita. Il giudice Giovanni Falcone diceva che per parlare di mafia bisogna parlare anche di Stato. Ecco allora che, dopo aver fatto i processi, fondati sulle prove, dobbiamo studiare le dinamiche del fenomeno, perché solo se studiamo la mafia possiamo cercare di capire. Ed il fenomeno deve essere esteso oltre la stessa sfera della cattura raccontata nel libro. In quegli anni, gli ultimi e i più sanguinosi della c.d. terza guerra della Mafia allo Stato cade la c.d. “prima repubblica” e dalle sue ceneri ne nasce una seconda, al nord con la “normalizzazione” di mani pulite, al sud con il sacrificio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, nel 1992, e di tanti loro colleghi e valorosi esponenti delle forze dell’ordine. La resa dei conti è dunque violenta e tragica. Se il sangue o il denaro lasciano tracce da seguire e indizi da raccogliere per formare delle prove, diverso è il caso delle parole e soprattutto delle trattative per uscire dall’inferno, che ci riportano ad una politica e ad un potere che in Italia sempre nasce da patti oscuri con il potere criminale.
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