Ambiente

La Cop29 è già un flop prima di iniziare

di Giovanni Vasso -

epa11714772 Climate activists hold stuffed toys with a message reading 'We act in Peace' on the sidelines of the UN Climate Change Conference (COP29) in Baku, Azerbaijan, 11 November 2024. The Azerbaijani capital of Baku hosts the 2024 United Nations Climate Change Conference (COP29) from 11 to 22 November 2024. EPA/IGOR KOVALENKO


La Cop29 è già un flop. Al punto che persino Ursula von der Leyen ha deciso di dare forfait all’appuntamento di Baku. Troppo impegnata, fanno sapere da Bruxelles, con le audizioni all’Europarlamento dei suoi vicepresidenti per potersi recare in Azerbaigian a seguire i lavori della conferenza sul clima dell’Onu. Una conferenza (ancora) più povera di delegati del solito. Ce ne sono 51mila ma risultano meno dell’edizione dell’anno scorso. Ma, in comune con la Cop28 che si tenne a Dubai, la Cop29 ha il fatto di essere ospitata nella capitale di un Paese tra i più grandi produttori di petrolio e gas naturale al mondo. Il cui governo, secondo alcune Ong, non avrebbe in chissà che simpatia gli attivisti per l’ambiente al punto da averne arrestati alcuni in tempi recenti.

Non sarà solo Ursula l’assente eccellente di questa edizione. Non ci sarà nemmeno il presidente francese Emmanuel Macron e, con lui, mancherà pure il cancelliere tedesco Olaf Scholz. Ci saranno, invece, Giorgia Meloni e con lei il premier spagnolo Pedro Sanchez e il primo ministro britannico Keir Starmer. Il ministro all’ambiente Gilberto Pichetto Fratin ha riferito che l’Italia “farà la sua parte con responsabilità e pragmatismo”. Ma che i lavori di Baku decollino o, quantomeno, portino a qualcosa è pia illusione. Sono bastate poche parole arrivate dagli Stati Uniti a rovinare la festa: il presidente eletto Donald Trump ha affermato di avere “già pronto” l’ordine esecutivo con il quale Washington farà marcia indietro rispetto agli Accordi di Parigi sul Clima. Una mazzata che svuota di senso la conferenza azera. Se gli Usa si ritirano dal grande accordo globale contro il cambiamento globale, avviando così una fase di ritorno in grande stile alle energie fossili, chi altri in Occidente terrà alta una bandiera che, al momento, fa felice (e ricca) soltanto la Cina che, sul fronte green, ha saputo ritagliarsi negli anni un ruolo strategico di fondamentale importanza. Suffragato, tra le altre cose, da quanto sta accadendo nel mondo dell’auto: mentre l’Europa è in crisi nerissima, l’asiatica Byd vende più della Ford. È tutto dire.

Ma c’è pure un’altra questione, scottante, sul banco. Quella dei cosiddetti Paesi poveri. Che vorrebbero mettere nero su bianco il diritto ai ristori climatici da parte del Nord del mondo che, nell’analisi di alcuni esperti del settore, avanzerebbe un debito da ben cinquemila miliardi di dollari nei confronti del Sud globale. Un’altra pia illusione. Quando c’è da sganciare, europei in primis, non si fa trovare mai nessuno. E, per di più, non è questo il momento opportuno per fare della retorica pauperista e colpevolista. Da qualche anno, in Occidente, s’è assistito a un vero e proprio cambio di paradigma. L’energia costa più del lavoro. Il cuneo fiscale non fa più paura, alle imprese, quanto le bollette. In tutta Europa e, più in generale, in Occidente. Ci sono due guerre in corso, in Ucraina e in Medio Oriente. Prima degli ambiziosi obiettivi c’è da fare i conti con la realtà degli approvvigionamenti, dei costi (economici e politici) delle transizioni. Un prezzo che, al momento, è salato. Per tutti. Dall’altro lato c’è la cooperazione con i Paesi dell’ex Terzo Mondo. Che rappresentano, allo stato attuale, la speranza per una futura evoluzione delle direttrici economiche e di mercato. L’Africa è sempre più importante, non solo per le risorse che ha ma soprattutto per il fatto di poter rappresentare un sistema complesso di mercati e consumo con un potenziale enorme.

In apertura dei lavori, il segretario esecutivo Onu Simone Stiell ha provato a giocare sull’orgoglio: “Dimostriamo che la cooperazione globale è all’altezza del momento”. Il ministro azero Mukhtar Babayev, già funzionario per 25 anni della Socar, tra le più grandi aziende petrolifere azere, è stato eletto presidente della Cop29. Nel prendere il testimone dal predecessore Sultan Ahmed al Jaber, Ceo dell’Adnoc (Abu Dhabi National Oil Company) s’è tenuto sulla linea retorica dell’apocalisse: “Siamo sulla strada della rovina”, ha detto dichiarando la necessità di “tracciare un nuovo percorso”, puntando sui piani climatici nazionali e sulla finanza. Servono mille miliardi di dollari. In questo momento non li ha nessuno. E chi li ha li terrà per sé. Perché mentre a Baku si chiacchiera, nel mondo si sta giocando una guerra dalla quale scaturiranno gli equilibri geopolitici dei prossimi tempi.


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