Editoriale

Consulta, così perdiamo tutti

di Adolfo Spezzaferro -


La scheda bianca di ieri in Aula durante la votazione per il giudice mancante della Consulta per non bruciare il nome di Francesco Saverio Marini, consigliere giuridico del presidente del Consiglio, che ha praticamente scritto la riforma del premierato, è una sconfitta per la maggioranza, è vero. Ma è una sconfitta anche per le opposizioni, che invece esultano come se avessero vinto. Perché in sostanza il Parlamento non ha fatto il suo lavoro, il lavoro per cui deputati e senatori sono stati mandati lì dagli elettori. A chi parla di inciuci mancati vogliamo ricordare che se non si è trovato un accordo è perché da una parte c’è una maggioranza che vuole imporre i suoi nomi (come è sempre stato, d’altronde) e dall’altra ci sono le opposizioni – ieri miracolosamente riunite per votare contro il candidato della premier Giorgia Meloni – che appunto non ne vogliono sapere. Qualcosa ci dice che anche se la maggioranza avesse proposto un nome condivisibile, caro alla sinistra, o quanto meno non imputabile di conflitti d’interesse – Marini alla Corte costituzionale dovrebbe valutare la sua riforma del premierato – Pd, M5S e Avs avrebbero trovato il modo di non farselo andare bene comunque. Il motivo è duplice: Elly Schlein, Giuseppe Conte e compagni vogliono il muro contro muro perché non vogliono assolutamente scendere a compromessi con la maggioranza.

E questo per dimostrare ai loro elettori di riferimento che di fronte alle destre non si cede di un millimetro, non si molla mai. L’altra ragione è che per i partiti è prioritario “salvare la faccia da duri e puri” in vista delle prossime elezioni regionali, con l’auspicio di prendere più voti possibile. Insomma, le regionali vengono prima della Consulta, nella real politik. E ci sta, per carità: il voto in Liguria è molto vicino e le sinistre, divise, molto probabilmente perderanno. Al contrario questa ritrovata unità d’intenti – non votare in Aula – del campo che mai fu largo è un segnale agli elettori di riferimento. Peccato che il messaggio sia: sulle cose importanti, tipo non eleggere un giudice della Corte costituzionale, siamo uniti contro le destre. Un messaggio vincente, non c’è che dire. D’altro canto, eleggere tutti insieme il giudice mancante farebbe bene a tutti, dimostrerebbe senso delle istituzioni, significherebbe voler sanare un cosiddetto vulnus democratico. Proprio come chiede il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, custode della Costituzione. E a proposito degli inciuci mancati – come se fosse una cosa brutta mettersi d’accordo – sono passaggi previsti, leciti: fanno bene – quando il bene è di tutti – alla democrazia. Certo, voi direte: ma veramente i cittadini stanno male, non ci dormono la notte al pensiero che manca un giudice alla Consulta? Noi vi rispondiamo che è dovere del Parlamento trovare la quadra, perché rientra proprio nei compiti dei nostri rappresentanti smettere per un attimo di cercare lo scontro sempre e comunque, quando si tratta si tratta di eleggere un giudice costituzionale. Che non significa vincere o perdere le elezioni. Ma vuol dire dare o non dare l’impressione, la sensazione di fare bene il proprio lavoro di rappresentanti dei cittadini in Parlamento. E invece assistiamo, tra le file delle opposizioni, a chi smentisce seccamente e seccato l’esistenza di inciuci con la maggioranza. Neanche fosse “intelligenza con il nemico”. In politica non ci sono nemici, semmai avversari. L’intelligenza, invece, a volte sembra scarseggiare.


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