CON LA CULTURA SI MANGIA – La favola del lupo e dell’agnello e l’hybris dell’uomo
“Cu voli farisi Diu, finisci pi farisi diavulu.”
(Chi vuole fare Dio, finisce per fare il diavolo.)
Nel corso della storia, l’essere umano ha sempre cercato di superare i propri limiti, spesso intraprendendo sfide audaci nel tentativo di replicare, migliorare o modificare la natura. Due esempi emblematici di questa spinta sono la creazione del metalupo, una creatura preistorica ricostruita dopo 12.000 anni, e la pecora Dolly, il primo mammifero clonata nel 1996. Entrambi questi eventi sono simboli di un desiderio antico quanto l’umanità stessa: quello di dominare la vita, manipolando i suoi fondamenti. Il metalupo, un animale ricreato attraverso la tecnologia e la scienza moderne, incarna la capacità umana di “riportare in vita” un passato ormai perduto. È l’illusione di avere il controllo su ciò che, nel tempo, è andato perduto, rievocando in qualche modo l’idea di resuscitare ciò che appartiene al ciclo naturale della vita. La stessa filosofia si ritrova nella clonazione di Dolly, la pecora che ha suscitato un ampio dibattito etico, incarnando il tentativo di emulare la creazione di vita attraverso il progresso scientifico, sfidando le leggi naturali. Questi esperimenti, seppur manifestazioni di genialità e curiosità, pongono una riflessione sul desiderio umano di avvicinarsi al divino. Nella Bibbia, il peccato originale ha origine dal desiderio di Adamo ed Eva di ottenere la conoscenza proibita, mangiando il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male, tentando di eguagliare la divinità. Analogamente, l’ambizione di clonare esseri viventi e di risuscitare forme di vita estinte è un altro esempio di questa ambizione umana di diventare “come Dio”, superando i confini che la natura ci impone. Ma questa ricerca della divinità può nascondere dei pericoli. Così come il frutto proibito ha portato alla caduta, anche il tentativo di manipolare la vita, per quanto motivato da una spinta scientifica o curiosa, potrebbe avere conseguenze impreviste e irreparabili. La scienza, infatti, non è priva di limiti morali e può facilmente sfociare in un’area pericolosa se guidata solo dalla sete di potere e controllo, dimenticando il rispetto per l’equilibrio naturale. In definitiva, l’ambizione di “farsi Dio” e di replicare la creazione sembra una ricerca destinata a ripetere, in modo simbolico, il peccato originale: l’arrogante tentativo di infrangere i limiti imposti dalla natura, spesso ignorando le conseguenze di un tale gesto. E lo facciamo, in fondo, perché non accettiamo di essere mortali. Il metalupo e la pecora Dolly diventano così simboli dell’eterno conflitto tra limite morale e hybris. La domanda che ci resta è se, nel tentativo di farsi Dio, l’uomo stia riscrivendo invece la propria caduta.
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