Il 23 dicembre il Servizio sanitario nazionale (Ssn) festeggia 45 anni. Per la Fondazione Gimbe che chiede “un radicale cambio di rotta nella tutela della salute delle persone” con il suo presidente Nino Cartabellotta “il Ssn non spegnerà 45 candeline in un clima festoso, sotto il segno dell’universalità, dell’uguaglianza e dell’equità, i suoi principi fondanti ormai ampiamente traditi. Perché la vita quotidiana delle persone, in particolare quelle meno abbienti, è sempre più condizionata dalla mancata esigibilità di un diritto fondamentale, quello alla tutela della salute”.
Per questo Gimbe si impegna nel rilancio della rete civica #SalviamoSsn, “perché al di là delle difficoltà di accesso ai servizi, la maggior parte delle persone non ha ancora contezza del rischio imminente: quello di scivolare lentamente, ma inesorabilmente a 21 sistemi sanitari regionali basati sulle regole del libero mercato”. E chiede al presidente della Repubblica Sergio Mattarella e al ministero della Salute un logo per il Ssn: “Attualmente molte Regioni identificano il proprio Servizio sanitario regionale attraverso un logo, contribuendo così a consolidare la percezione pubblica dell’esistenza di 21 Ssr distinti: al contrario, paradossalmente manca un logo identificativo del Ssn”.
Gimbe fa poi un chiarimento “per sedare le strumentalizzazioni politiche degli ultimi mesi”: “E’ bene ribadire – dice Cartabellotta – che negli ultimi 15 anni tutti i governi, di ogni colore, hanno tagliato risorse o non finanziato adeguatamente il Ssn sino a portare il nostro Paese ad essere in Europa “primo tra i Paesi poveri” in termini di spesa sanitaria pubblica pro-capite”. Nel 2022 siamo davanti solo ai Paesi dell’Europa meridionale (Spagna, Portogallo, Grecia) e quelli dell’Europa dell’Est, eccetto la Repubblica Ceca.
E abbiamo in Italia un gap rispetto alla media dei Paesi europei che dal 2010 è progressivamente aumentato, arrivando nel 2022 a 873 dollari (pari a 801 euro), e che, tenendo conto di una popolazione residente Istat al primo gennaio 2023, per l’anno 2022 corrisponde ad un gap di 47,3 miliardi di euro. Nell’intero periodo 2010-2022 il gap cumulativo arriva alla cifra monstre di 363 miliardi di dollari, circa 333 miliardi di euro.
“A pagare le spese del progressivo definanziamento – analizza Gimbe – è stato infatti soprattutto il personale sanitario. La persistenza del tetto di spesa riferito al lontano 2004 ha prima ridotto la quantità di medici e soprattutto di infermieri, poi li ha progressivamente demotivati, tanto che oggi si moltiplicano pensionamenti anticipati, licenziamenti volontari, fughe verso il privato o all’estero”.
Rilevata pure una “frattura strutturale Nord-Sud, causa del triste fenomeno della mobilità sanitaria che nei dati definitivi del 2021 vale 4,24 miliardi di euro: risorse che scorrono prevalentemente dalle Regioni meridionali verso 3 Regioni settentrionali dove si concentra il 93,3% dei saldi attivi. Proprio le stesse Regioni (Emilia Romagna, Lombardia, Veneto) che hanno già sottoscritto i pre-accordi per le maggiori autonomie”.
Nel 2021, infatti, le Regioni con saldo positivo superiore a 100 milioni di euro sono tutte al Nord, “Emilia Romagna (442 milioni), Lombardia (271 milioni) e Veneto (228 milioni), e quelle con saldo negativo maggiore di 100 milioni tutte al Centro-Sud: Abruzzo (-108 milioni), Puglia (-131 milioni), Lazio (-140 milioni), Sicilia (-177 milioni), Campania (-221 milioni), Calabria (-252 milioni)”, ricorda Gimbe.