Politica

PRIMA PAGINA-Commissario all’Italia, Ursula tratta con Giorgia

di Giuseppe Ariola -


La decisione di riproporre la maggioranza ‘Ursula’ a tutti i costi anche nella nuova legislatura europea costringe il Ppe a un accordo al ribasso. I popolari hanno infatti rinunciato alla ‘staffetta’ di metà legislatura con i socialdemocratici per la guida del Consiglio europeo che dovrebbe essere affidato, senza preventive preclusioni temporali, al socialista António Costa. Anzi, un avvicendamento tra i due gruppi dovrebbe esserci per lo scranno più alto del Parlamento europeo, la cui presidenza resterebbe nelle mani di Roberta Metsola solamente per la prima metà della legislatura, per poi passare ai socialisti. È stata, dunque, superata con questa intesa la situazione d’impasse che si era venuta a creare lunedì scorso sull’individuazione dei top jobs e che aveva di fatto momentaneamente fermato i negoziati, oggi sbloccati secondo lo schema Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione, il portoghese António Costa, come detto, al Consiglio e la liberale premier estone Kaja Kallas Alto rappresentante. L’accordo per la triade raggiunto tra i premier della Polonia e della Grecia, Donald Tusk e Kyriakos Mitsotakis per il Ppe, quello spagnolo Pedro Sanchez e il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, in rappresentanza dei socialisti, e il presidente francese, Emmanuel Macron, e il primo ministro olandese uscente, Mark Rutte, per i liberali, dovrà adesso essere formalizzato al Consiglio europeo di giovedì e venerdì prossimi a Bruxelles. Il voto dei Ventisette richiede una maggioranza qualificata che necessita del via libera di almeno 15 stati che rappresentino non meno del 65% della popolazione comunitaria. Una modalità che rende tutt’altro che marginale la posizione dei leader dei Conservatori al Consiglio europeo, la presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni e il premier ceco Petr Fiala. Se il capo del governo ungherese, Viktor Orban, ha immediatamente commentato l’intesa raggiunta dai negoziatori come un accordo che “va contro tutto ciò su cui si fonda l’Ue”, aggiungendo che “invece dell’inclusione, si semina la divisione” e ritenendo che “gli alti funzionari dell’Ue dovrebbero rappresentare tutti gli Stati membri, non solo la sinistra e i liberali” per la premier italiana il discorso potrebbe essere diverso. Giorgia Meloni, che guida l’unico governo uscito rinforzato dalle elezioni europee, sa di poter ottenere un Commissario di peso e di poter puntare anche alla vicepresidenza dell’esecutivo comunitario, magari per l’attuale ministro Raffaele Fitto, il cui nome sembra essere in pole position. Non suona quindi affatto strana l’indiscrezione che vorrebbe la candidata in pectore per la presidenza della Commissione Ursula von der Leyen pronta a trattare direttamente con la Meloni, non in quanto presidente dei Conservatori europei, bensì nella sua veste di premier, per definire la delega da affidare all’Italia. Si tratta di un secondo passo indietro a cui è costretto il Ppe – tra le cui varie anime c’è proprio chi spinge per un simile accordo – questa volta per volontà dei liberali che, appena formalizzata l’intesa di ieri, si sono premurati di ribadire la loro netta contrarietà a un ipotetico accordo con Ecr, ovvero a una maggioranza che vada oltre il perimetro di una coalizione Ppe, S&D e Renew. Resta il fatto che anche una volta ottenuto il benestare del Consiglio europeo, la palla passerà poi all’Europarlamento, dove il fisiologico alto numero di franchi tiratori, come già visto cinque anni fa, potrebbe accendere i riflettori proprio sulle scelte del gruppo dell’Ecr che conta più seggi di Renew. Ed è proprio questa la sede nella quale la Meloni, che oggi terrà alle Camere le comunicazioni in vista del Consiglio europeo, potrebbe far valere tutto il peso dei Conservatori, in un senso o nell’altro. Quel che è certo è che, al netto dei veti incrociati, l’Italia ha la concreta possibilità di ritagliarsi un ritrovato protagonismo in Europa e di incidere in modo determinante sulle prossime sfide cui è chiamata l’Unione.


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