Come sta il tennis italiano? Un bilancio della stagione
di RAPHAEL D’ABDON
Secondo il regista Robert Bresson il cinema sonoro ha introdotto il silenzio, un’affermazione che cela un paradosso: il suono e il rumore sono ingombranti ma utili, perché nelle loro sospensioni e interruzioni si producono pensiero e riflessione. Adesso che la stagione è giunta al capolinea e si è dissolto il ronzio mediatico che accompagna le gesta dei nostri beniamini, si può ragionare a mente fredda sullo stato di salute del tennis italiano.
Il paziente gode di buona salute: la Coppa Davis attuale è una barzelletta, abbiamo fatto delle figure pessime nei turni preliminari, ma alla fine l’abbiamo sfangata e per dodici mesi il titolo di campioni del mondo non ce lo toglie nessuno. I più attempati che hanno conosciuto la vera Davis hanno faticato a scaldarsi per le finali di Malaga, ma per un giovane privo di quel retroterra il trionfo degli azzurri resterà un ricordo indelebile.
Nel circuito ATP l’Italia schiera tre gruppi di giocatori in fasi differenti della loro carriera: il primo è quello dei veterani Fognini, Sonego e Berrettini, tre atleti che ci hanno regalato delle gioie (soprattutto il primo), ma che ormai sono tagliati fuori dagli scenari che contano; nel secondo troviamo le eterne promesse Sinner e Musetti, non più dei novellini del circuito, inquilini stabili dei piani alti o medio-alti della classifica, che hanno dimostrato a tratti di poter competere con i top players, ma che non hanno ancora vinto niente di significativo e che negli slam finora hanno recitato la parte dei comprimari; il terzo è composto da Arnaldi, Cobolli e Nardi, tre giocatori in ascesa dai quali è lecito aspettarsi ulteriori progressi. La prossima stagione sarà decisiva per capire se Sinner e Musetti appartengono alla cerchia degli eletti o se sono solo degli outsider capaci di sporadici exploit e poco altro. Musetti è reduce da un 2023 deludente e per correre ai ripari ha chiesto aiuto a Corrado Barazzutti: vedremo se il nuovo coach riuscirà a far sbocciare il suo talento cristallino o se i problemi del carrarino sono di natura strutturale.
Sinner ha concluso in crescendo un’annata iniziata male (Australian Open, Indian Wells, Monte Carlo, Madrid, Roma) e proseguita malissimo (Parigi, US Open), nella quale però ha incamerato punti preziosi grazie a piazzamenti redditizi (Miami), alla semifinale fortunosa di Wimbledon e alla vittoria nel 1000 patacca di Toronto. Inoltre i buoni risultati ottenuti nel garbage time del calendario (post-US Open) gli hanno permesso di salire ulteriormente in classifica e di avvicinarsi agli intoccabili Djokovic, Alcaraz e Medvedev. Le speranze dei tifosi italiani sono riposte quasi tutte su di lui, ma l’altoatesino si muove su un campo minato.
Quest’anno ha girato tutto alla perfezione: crescita tecnica e fisica, nessun infortunio, tabelloni favorevoli, avversari diretti in bambola; cionostante, le vittorie di peso sono mancate e gli slam rimangono un miraggio. Questi sono dati che devono far riflettere, perchè se venisse meno anche uno solo dei fattori sopraccitati, la situazione si complicherebbe per il Gucci Kid. Il pericolo maggiore è rappresentato dai rivali che quest’anno hanno dormito ma che prima o poi potrebbero uscire dal letargo (Rune, Tsitsipas, Ruud, Auger-Aliassime, Tiafoe, Korda) e dai galletti da combattimento che scalpitano per entrare nella top 10 (Shelton, Fils). Si ripartirà come sempre dalla Rod Laver Arena di Melbourne: i tempi sono maturi per una vittoria del nostro n.1? Musetti sarà capace di compiere il miracolo? Vedremo sventolare il tricolore alla fine di uno slam o continueremo a campare di belle intenzioni e buoni auspici?
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