Editoriale

Coca, soldi, prostitute: il cattivo esempio che va tanto di moda

di Dino Giarrusso -


Mette un po’ a disagio dover parlare di Davide Lacerenza, della sua Gintoneria, dei suoi video dove sniffa cocaina, bestemmia ed esalta l’abuso di alcol, dello spazio che gli è stato concesso non solo da La zanzara, che dell’ospitare i freak ha fatto la sua cifra stilistica, quanto del Corriere della Sera. Mette a disagio perché il vuoto torricelliano che traspare dalla vita che Lacerenza ostentava sui social, mette un tale violento brivido di disgusto che non solo ci si chiede come sia possibile vivere in tale abisso, ma si soffre a pensare che per molti italiani, giovani e non solo, quel signore è un mito. Mette a disagio anche perché si vorrebbe usare questo spazio per raccontare cosa accade nei palazzi della politica, per presentarvi inchieste  nello stile de L’identità, o per intervistare chi può darci pareri importanti. Eppure di Lacerenza, come di Stefania Nobile e di tutto il cucuzzaro, è giusto parlare. E non perché sono stati arrestati ed il loro locale chiuso, per quello basterebbe una breve in cronaca. Bisogna parlarne, invece, perché fino a ieri il loro orribile stile di vita, la loro ostentata oscenità, la dipendenza dalle droghe e il continuo riferirsi al denaro quale unico scopo di vita, erano per molti un mito, un esempio, un riferimento cui rifarsi e da cui imparare. E probabilmente è sbagliato pure scrivere “fino a ieri”, giacché uno degli effetti del blitz che ha portato agli arresti questi maestri di vita, è la fila di persone fuori dal locale per farsi un selfie. La mitizzazione di un luogo dove secondo le accuse si spacciava droga e si sfruttava la prostituzione è bella evidente, e non possiamo girarci dall’altra parte e fingere di non vedere questo fenomeno. Se Lacerenza fosse un’eccezione, una mosca bianca, andrebbe capito il perché di questo successo mediatico. Il problema è che l’esaltazione di uno stile di vita tossico ed  eticamente osceno, non è affatto un’eccezione. Chiariamo una cosa: chi qui scrive, è tutto fuorché un moralista, e niente è meno moralista che avere una morale. Assistere da decenni alla fascinazione verso i trapper che esibiscono collane e denti d’oro dicendo bitch ogni tre parole e insultando il rivale di turno, gli influencer che -ben che vada- indicano nella ricchezza materiale e negli oggetti di lusso la chiave della felicità, e verso le risse (online e in TV) e gli sputacchi fra personaggi quali “il brasiliano” e “fratellì”, ci percuote la coscienza. Perché è doloroso in sé, e perché insieme a questo esibire l’aggressività, l’ignoranza, la prepotenza e la filosofia del “io so’ un grande e te ‘no stronzo”, si diffonde in parallelo una normalizzazione pericolosissima dell’abuso di droghe. Non una controcultura dell’allargamento percettivo, che ha comunque creato danni e lutti, ma un persino più triste ammiccamento al rifuggire dalla realtà -dalle responsabilità, dalle fatiche, dai sogni,  dalla vita- grazie all’alterazione perenne. Non soltanto dunque è spaventosa la quantità di droga che circola, e l’incalcolabile giro d’affari correlato, ma fa paura la normalizzazione delle droghe -cocaina e alcol su tutte- nelle nostre esistenze. Scrivemmo già del ritorno dell’eroina dopo le overdosi che hanno distrutto giovani vite qualche settimana fa, e ci torniamo oggi non perché sia morto qualcuno ma perché vicende di cronaca come quella di Milano ci raccontano una storia nota ma volutamente tenuta in penombra. La droga è di moda, le piazze di spaccio sono fabbriche di soldi e di affiliazione di molti giovani ai cartelli criminali, e la società italiana -non solo le famiglie attraversate dal ciclone- non è in grado di affrontare questo fenomeno. Anzi è spesso connivente, e forse rassegnata a vedere interi quartieri (a Roma, Napoli, Palermo, Milano, Pescara, e in quasi tutte le città italiane) dove gli spacciatori sono così potenti e protetti da poter spacciare anche in pieno giorno, in mezzo alla strada, per 365 giorni l’anno. E per chi può spendere di più non serve scendere in strada: la roba è servita su vassoi in locali esclusivi, magari portata da una ragazzina discinta, come nella Gintoneria celebrata dal

Corsera. Una società che non reagisce a questa involuzione, andrà incontro ad un futuro più denso di pericoli e povertà, perché questo stile di vita oggi molto di moda non aiuta la crescita sociale, non è nemmeno funzionale ad un possibile afflato rivoluzionario o di contestazione. È solo vuoto, profondissimo vuoto. E nessuno oggi sa come riempirlo.


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