Clima infame per l’agricoltura: ecco quanto ci costa la siccità
Clima infame per l’agricoltura. I dati del Focus Censis Confcooperative restituiscono l’immagine di un tracollo dovuto ai cambiamenti climatici che impattano, prima che su ogni altro settore, su quello primario. “Conto salato per l’agricoltura”, quello presentato da disastri ambientali e climate change. E proprio così si intitola il report che è stato presentato ieri. I dati sono di quelli che non ammettono repliche: “L’agricoltura è il settore economico che risente di più le conseguenze dei cambiamenti climatici – ha detto Maurizio Gardini, presidente Confcooperative – . L’andamento dell’economia agricola nel 2022 ha registrato un calo della produzione dell’1,5%, poco meno di 900 milioni di euro”. Un disastro. Che si riflette sulle produzioni nazionali. A causa della siccità diffusa e delle poche piogge, è andato perso il 17,5% del raccolto di legumi mentre per quanto riguarda l’olio di oliva, la produzione s’è contrattata addirittura del 14,6 per cento. Malissimo anche i cereali: -13,2%. Ma questo non è che l’inizio. Già, perché nel report si legge che ha ceduto anche la produzione di ortaggi (-3,2 per cento) e di piante industriali (-1,4%). Il vino traballa e la produzione cede lo 0,8% rispetto all’anno precedente. Il 2022, fanno notare gli analisti Censis-Confcooperative, è stato l’anno più caldo di sempre. Il clima, per l’agricoltura, ha pesato in maniera gravosa. Ha colpito durissimo nel Nord-Ovest dove è andato perduto il 3,5% dei raccolti e al Sud dove, invece, la produzione ha ceduto il 3 per cento. Numeri che diventano soldi. Anzi, in questo caso, perdite: al Nord è andato in fumo il 7,6 per cento del valore aggiunto delle produzioni agricole. Il Sud, invece, se l’è cavata, tutto sommato, accusando una perdita che s’è fermata al 2,9 %. Al Centro, invece, le cose sono andate meglio e non sono stati registrati saldi negativi nell’agricoltura. Se i contadini piangono, gli allevatori hanno ben poco da ridere: il climate change colpisce anche il settore zootecnico che, solo nel 2022, ha perduto lo 0,6 per cento della sua produzione annuale.
Il clima però si muove lento e per “apprezzare” gli effetti dei cambiamenti nell’agricoltura occorre tornare indietro di qualche decennio. Se si allarga il range temporale di riferimento agli ultimi quarant’anni emerge che il costo preteso dai disastri ambientali è salatissimo: 210 miliardi di euro. È “pari all’intero importo del Pnrr e a dieci manovre finanziarie”, ha spiegato lo stesso Gardini. Che ha aggiunto. “Di questi 210 miliardi ben 111 sono determinati dagli effetti dei cambiamenti climatici. Ecco perché la cura del territorio non è un costo, ma un investimento sul sistema paese”. Il trend è andato peggiorando nel corso degli ultimi anni: “Parliamo di 42,8 miliardi solo dal 2017 al 2022. Nel 2022 è costato lo 0,9% del Pil, pari a 17 miliardi. Un importo di poco inferiore a una manovra finanziaria”. Costi che si riflettono sulle imprese: “Una pmi su quattro è minacciata, perché localizzate in comuni a rischio frane e alluvioni e presentano una probabilità di fallire del 4,8% più alta di quella delle altre imprese una volta che si sia verificato l’evento avverso”. Insomma, per dirla con Ungaretti, si sta come d’autunno sugli alberi le foglie. “Allo stesso modo queste imprese realizzerebbero un risultato economico inferiore del 4,2% e una dimensione d’impresa, in termini di addetti, anch’essa inferiore alle imprese localizzate in territori non esposti a rischi di frane e alluvioni” ha concluso Maurizio Gardini.
Insomma, fare impresa nell’agricoltura, oggi, è diventato sempre più rischioso. Il cambiamento climatico pretende un costo da pagare troppo esoso. E, per soprammercato, le imprese devono fronteggiare un braccio di ferro con le istituzioni europee che, in nome del green, impongono limiti sempre più serrati alle aziende. Ma l’agricoltura è un settore strategico di importanza fondamentale. Non solo per il valore economico ma soprattutto perché garantisce cibo in quest’epoca di guerra e reshoring.
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