Editoriale

Cittadinanza e identità

di Adolfo Spezzaferro -


Non avevamo dubbi che anche dal palco del Meeting di Rimini, dalla tribuna di Comunione e Liberazione, sarebbe arrivata la condanna al governo perché secondo loro non vuole essere al passo con i tempi sul fronte della cittadinanza. “La vittoria delle ragazze della pallavolo ha portato alla luce una realtà che avremmo dovuto già conoscere, e che al Meeting conosciamo bene. Certe chiusure sono antistoriche, la cultura abbatte le frontiere, negli Stati Uniti appena metti piede in una scuola acquisisci la cittadinanza”, sono le parole che riecheggiano nella ridente località balneare romagnola. Queste persone stanno citando lo ius scholae e più in generale lo ius soli, contrapposto allo ius sanguinis. Tutti sanno che per esempio negli Stati Uniti vige lo ius soli: se nasci negli Usa sei cittadino statunitense. Non bisogna avere un dottorato in Storia per rendersi conto che un posto dove all’epoca arrivarono genti da tutto il mondo di certo non poteva applicare lo ius sanguinis: il cittadino Usa per sangue non esiste (a parte i nativi americani). In Italia al contrario lo ius soli non serve perché gli italiani si sa benissimo chi sono – viviamo qui da un bel po’. Tuttavia il tormentone riciccia fuori senza posa, perché a sinistra (e non necessariamente soltanto quella immigrazionista) si contesta che le nostre leggi in materia non siano al passo con i tempi. Per questo sentiamo parlare di ius scholae o ius culturae – un uso del latino che ci fa pensare più al Porcellum che al Diritto romano, però complici anche i giornali, tali diciture ormai sono molto diffuse. In sostanza sono proposte alternative alla legge vigente, introdotta nel 1992, che prevede che la cittadinanza si acquisti secondo il diritto di sangue: se si nasce da italiani o se si è adottati da italiani. La cittadinanza però può essere richiesta anche dagli stranieri che risiedono in Italia da almeno dieci anni e sono in possesso di determinati requisiti, come avere redditi sufficienti al sostentamento e non avere precedenti penali. Inoltre la legge prevede che stranieri nati e residenti legalmente e ininterrottamente in Italia fino ai 18 anni, con il compimento appunto della maggiore età possono richiedere la cittadinanza. Infine si può diventare cittadini italiani anche per matrimonio. Ma a sinistra questa legge non piace, anche se l’Italia è prima nell’Ue per numero di cittadinanze rilasciate: oltre 230mila. Forse allora il problema, più che di diritto e di diritti per chi vive in Italia, è ideologico: forse alla sinistra non piace l’idea di un’identità italiana. Peccato, perché nel mondo la nostra identità è ben chiara a tutti. Ma soprattutto, vorremmo ricordare alla sinistra che la Roma imperiale e l’Italia sono multietniche, multireligiose e con usi e costumi i più disparati da secoli e secoli prima degli Usa. Quindi se la scuola c’entra, è solo perché alcuni dovrebbero ripassare la Storia. A proposito della scuola, poi: un tempo sicuramente è stata un’istituzione che ha largamente contribuito a formare cittadini italiani, con una coscienza civile e nozioni di educazione civica. Oggi è messa talmente male che forse potrebbe “sformare” quelli che italiani ci sono nati. Prima di cambiare la legge in vigore – che funziona benissimo, l’Italia è al primo posto in Europa per la concessione di cittadinanze – riportiamo l’identità italiana a scuola. Ci sorge poi il dubbio che magari a sinistra pensano che facendo diventare italiani gli immigrati non regolari poi loro per gratitudine li voterebbero in massa, facendogli vincere le elezioni. #certocerto


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