PRIMA PAGINA – Chico Forti torna a casa grazie alla Meloni
“Signor Forti, la giuria l’ha ritenuta colpevole di omicidio di primo grado con arma da fuoco. La dichiaro pertanto colpevole di questa accusa. E la condanno alla prigione a vita. Questa è la mia unica opzione. L’ergastolo senza possibilità di condizionale”. Con queste parole della giudice di Miami Victoria Platzer, il 15 giugno 2000, inizia il calvario di Chico Forti, l’italiano che da 24 anni sconta il carcere a vita in un penitenziario della Florida per omicidio volontario.
Chico era destinato a morire in quella prigione, ma il primo marzo scorso il suo terribile destino è cambiato. La premier Giorgia Meloni è riuscita infatti nell’impresa, tentata senza esito da tutti i governi a partire da quello Monti, di ottenere l’autorizzazione dagli Stati Uniti al trasferimento di Forti in Italia. A rendere noto l’accordo, raggiunto durante la visita a Washington, è stata proprio il presidente del Consiglio: “Sono felice di annunciare che dopo 24 anni di detenzione negli Stati Uniti è appena stata firmata l’autorizzazione al trasferimento in Italia di Chico Forti. Un risultato frutto dell’impegno diplomatico di questo governo, della collaborazione con il governo dello Stato della Florida e con il governo federale degli Stati Uniti, che ringrazio. Gioia per Chico, per la sua famiglia, per tutti noi. Lo avevamo promesso e lo abbiamo fatto. Ora lo aspettiamo in Italia”.
Poco prima di dare la notizia al Paese, la premier aveva telefonato personalmente a Chico, come ha raccontato Andrea Di Giuseppe, eletto nella circoscrizione Usa per Fratelli d’Italia e residente da 23 anni a Miami. “Chico è stato chiamato negli uffici del carcere. Era preoccupato. Non sapeva che in linea c’era il presidente Meloni che gli dava la notizia dell’ok al trasferimento. Tecnicamente adesso la politica è fuori. Ora ci sono i tempi della procedura, direi che nel giro di un mese Chico potrebbe fare ritorno in Italia”, ha spiegato De Giuseppe, il quale ha anche riportato le prime parole che l’italiano ha rivolto a caldo al politico. “Non riesco a crederci. Ho le emozioni a mille, non so neanche quello che sto facendo. Come faccio a sdebitarmi con voi? Mi avete salvato la vita”, ha ripetuto Forti, il quale ora attende soltanto i tempi tecnici per il disbrigo delle pratiche necessarie al trasferimento in Italia, dove il produttore tv, a meno di accordi specifici con gli Usa, dovrebbe scontare un primo periodo in carcere per poi ottenere la libertà vigilata prevista dai benefici di legge.
Si chiude così, dunque, il calvario giudiziario di Forti, che si è sempre dichiarato innocente e vittima di un errore processuale. Il suo caso, infatti, presenta alcuni elementi sui quali la famiglia ha sollevato perplessità circa la fondatezza delle prove e sulla circostanza che i giurati abbiano emesso un verdetto in linea con il principio cardine del processo americano: al di là di ogni ragionevole dubbio. Nella storia di Chico sarebbero diversi i dubbi che lo Stato della Florida non sarebbe stato in grado di colmare. Così come non sarebbero stati individuati i complici dell’omicidio di Dale Pike, ucciso il 15 febbraio 1998 e ritrovato cadavere sulla spiaggia di Sewer Beach. Il suo corpo era nudo e gli avevano sparato due volte alla testa, a distanza ravvicinata, con una pistola calibro 22. Sulla scena del crimine oggetti disseminati come in una messinscena, tra cui un biglietto aereo pagato da Chico e una scheda telefonica dai cui tabulati risultavano tre tentativi di chiamata al cellulare dell’italiano. Grazie ai reperti sul luogo del delitto i detective erano risaliti a Forti e avevano ricostruito i legami tra il filmaker e la vittima. Dale, infatti, era il figlio di Tony Pike, proprietario del Pikes Hotel, l’albergo che negli anni ’90 fu la meta del jet set mondiale e anche teatro del video musicale Tropicana, degli Wham. Chico, in quel momento, aveva in corso una trattativa per l’acquisto dell’albergo che, secondo l’accusa, Forti voleva sottrarre attraverso una truffa al vecchio Tony, affetto da demenza da Hiv. Dale, sosteneva la polizia, era andato a Miami per chiarire quegli affari e avrebbe dovuto soggiornare dall’italiano, che poche ore prima del delitto lo aveva prelevato all’aeroporto. Quando Chico venne ascoltato dalla polizia, però, mentì, dicendo che era andato allo scalo di Miami per prendere Dale ma che il figlio dell’albergatore non era mai arrivato. E scoperta la menzogna, che lo stesso Forti aveva spontaneamente ammesso il giorno dopo recandosi di propria iniziativa al distretto di polizia, i sospetti diventarono così pesanti da portare all’ipotesi investigativa che Chico avesse ucciso Dale perché era l’ostacolo a quell’affare.
Per la difesa, invece, era Chico la vittima della truffa, ordita da Tony e dal suo amico Thomas Knott, un truffatore tedesco fuggito dalla Germania ed entrato illegalmente negli Stati Uniti. Il vecchio Pike, come risulta dai documenti, non aveva alcun titolo a vendere il Pikes, in quanto non era più proprietario della struttura, che aveva ceduto a un trust. Quando però emerse che Chico aveva pagato una pistola calibro 22, intestata a Knott, e una piccola quantità di sabbia, compatibile con quella della spiaggia su cui era stato trovato ucciso Dale, venne trovata nel gancio di traino della macchina dell’italiano, il cerchio si chiuse. Il processo “State of Florida vs. Enrico Forti” durò diciotto giorni. E nell’ultima udienza la giuria impiegò meno di quattro ore per emettere il verdetto di colpevolezza.
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