“Chi maltratta gli animali la fa franca La legge c’è, facciamola rispettare”
Da sempre impegnata come legale nella difesa dei diritti degli animali, coordinatrice del Movimento Animalista del Friuli Venezia Giulia e referente regionale, oltre che della sezione di Pordenone, della L.E.I.D.A.A. (Lega italiana difesa animali ed ambiente) e volontaria attivista. L’avvocato Alessandra Marchi è una vera autorità nel settore. Delinea la situazione giuridica ed evidenzia gravi falle nel sistema.
A che punto siamo con le leggi che puniscono i reati di uccisione e maltrattamento di animali?
“L’assetto normativo in tema di animali è stato profondamente modificato a partire dalla legge 189/2004 sulle ‘Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento di animali. Nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate’. Grazie a questa legge, approvata durante il governo Berlusconi, dopo il titolo IX del libro II del Codice Penale è stato inserito il titolo IX – bis “Dei delitti contro il sentimento degli animali”. Stiamo parlando dell’articolato che va dal 544 bis al 544 sexies del Codice Penale e degli articoli 727 e 727 bis sempre del Codice Penale”.
Che cosa non funziona in questo sistema?
“Le leggi non mancano e la materia è in continua evoluzione, se pensiamo anche alla recentissima riforma della Costituzione. A partire dal 9 marzo 2022, grazie alla riforma costituzionale ed alla nuova formulazione degli articoli 9 e 41, gli animali (siamo il quinto paese al mondo ad averlo deciso) sono entrati a pieno diritto nella Costituzione, comparendo ben quattro volte – come animali, ambiente, biodiversità ed ecosistemi –all’interno dei principi fondamentali della Repubblica, con un rimando esplicito alla legge dello Stato che dovrà darne attuazione. Purtroppo però, anche nell’ambito della tutela degli animali assistiamo alle stesse criticità che governano altre materie: l’enorme frattura che esiste tra il momento in cui viene accertato il reato ed il momento applicativo delle varie sanzioni”.
Questa frattura come si manifesta?
“Al cittadino che assiste al maltrattamento o all’uccisione di un animale si chiede di denunciare per poi scoprire che ad oggi solo il 30% dei procedimenti penali per questi orribili reati arriva a sentenza definitiva (ci sono le archiviazioni, ad esempio) e solo la metà a una condanna, ovvero appena il 15 per cento! Per non parlare poi dell’Istituto della messa alla prova…”.
Ovvero?
“La messa alla prova, causa di estinzione del reato, introdotta nel 2014 (anno in cui si ricade nel baratro),può essere chiesta e concessa anche da coloro che devono rispondere di maltrattamenti ed uccisione di animali con aberranti conseguenze. Prevede di eliminare le conseguenze dannose derivanti da un reato attraverso servizi utili alla collettività. Il soggetto deve risarcire il danno alla persona offesa, se è possibile, e svolgere lavori di pubblica utilità. Quando il maltrattamento o l’uccisione sono diretti verso il proprio animale, si verifica un paradosso: non potendo risarcire se stessi si ripiega, per considerare risarcito il danno, su modeste donazioni a strutture o associazioni protezionistiche a difesa di animale e ambiente. Somme che comunque sono irrisorie. Oltre a ciò non sono previste ulteriori condanne e il reato può essere cancellato”.
Quindi, ci faccia capire: un soggetto che maltratta un animale se la cava con lavori socialmente utili e può persino vedersi riconsegnato il proprio animale maltrattato?
“Purtroppo sì. E senza alcun divieto di detenerli per il futuro. Una recente sentenza della Cassazione (n. 4463 emessa il 12/01/2022) che ci riguarda da vicino, ha disposto l’annullamento del ricorso in merito alla confisca di animali, in seguito al superamento con esito positivo della misura della messa alla prova da parte del proprietario-imputato. Il soggetto era stato indagato per aver commesso i reati agli articoli 544 bis (uccisione di animali) e 544 ter (maltrattamento di animali) del Codice Penale, per i quali è stato dichiarato il non doversi procedere dal GIP del Tribunale di Trieste. In questo caso, la dichiarazione di non doversi procedere è dovuta all’estinzione del reato per il completamento della messa alla prova con esito positivo. In virtù di tale circostanza, non è possibile procedere a una confisca per gli animali precedentemente sequestrati e tenuti in custodia da terzi affidatari e, pertanto, la Corte dispone che vengano restituiti al proprietario. Secondo quanto si legge nella sentenza, il ricorso è ritenuto fondato in ragione del fatto che, mancando una sentenza di condanna o di patteggiamento a carico dell’imputato, viene meno la possibilità di attribuire a questo un qualche tipo di responsabilità penale con conseguente confisca degli animali. Risultato: animali maltrattati restituiti al proprietario, spese di custodia degli stessi a carico dei cittadini e maltrattatore (perché tale rimane) libero di riprendersi i suoi animali maltrattati e senza alcun divieto di averne altri in futuro”.
Come fare, allora, per punire chi si macchia di questi reati in modo che sia impedita la possibilità di ritornare a infliggere sofferenze e a tenere animali?
“Con particolare riferimento alla messa alla prova (e vi sono proposte di legge nazionale depositate in tal senso ) occorre innalzare il limite edittale della pena nei reati di cui trattasi impedendo così l’applicazione di questa misura: in questo modo i reati di maltrattamento ed uccisione di animali non rientrerebbero più nel novero dei reati cosiddetti meno gravi, perché purtroppo oggi sono considerati tali. Inoltre con il riconoscimento degli animali e l’entrata in pieno diritto degli animali in Costituzione non è più ammissibile pensare che un reato che li riguardi sia considerato minore; si deve innanzitutto aumentare le pene e imporre come sanzione accessoria il divieto di tenere animali da parte di chi è stato condannato, inclusa l’interdizione a tenere animali per interposta persona”.
Altre modifiche sostanziali?
“Modificare le norme che continuano a considerare gli animali, civilisticamente parlando, come oggetti, anziché soggetti, introdurre gli animali nello stato di famiglia, in questo modo si otterrebbero, oltre allo status di soggetto, anche agevolazioni e le Regioni e i Comuni, a cascata, potrebbero intervenire sotto il profilo economico per aiutare i proprietari ad affrontare le spese medico-veterinaria. In parlamento anche per questa legislatura è stato costituito l’Intergruppo per i diritti degli animali presieduto dall’onorevole Brambilla in modo che eventuali proposte di legge vengano portate avanti in modo trasversale”.
Da avvocato come agisce quando all’autore del maltrattamento viene riconsegnato l’animale di proprietà?
“Gli animali venivano sequestrati e dati in affidamento. Di fronte al provvedimento che ne ordinava la restituzione ho sempre cercato di mettere in atto delle strategie affinché, in considerazione del legame affettivo creatosi fra animale e affidatario, l’animale venisse lasciato agli affidatari in via definitiva”.
Se potesse dare un suggerimento ai decisori politici, che cosa direbbe loro?
“Che si creino a livello di legislazioni regionali degli Intergruppi, analoghi a quello insediato in Parlamento, per portare avanti in modo trasversale delle istanze, in modo che le buone proposte non vengano cassate per questioni partitiche. Spesso la tutela degli animali è un’etichetta, la tutela invece deve corrispondere ad una reale volontà”.
Lei ha seguito anche svariate cause contro una potente lobby, quella dei cacciatori: che idea si è fatta?
“Quando si decide di tutelare veramente gli animali, inevitabilmente si vanno a calpestare degli interessi…”.
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