Chi fa la festa al lavoro
Dal 25 aprile al 1° maggio: una settimana tradizionalmente calda per i governi di centrodestra, con l’opposizione e i sindacati contro. Motivo per cui, dopo le (immancabili) polemiche per la festa della Liberazione, gli occhi sono puntati sulla Festa dei lavoratori, che quest’anno coinciderà con un Consiglio dei ministri voluto dalla premier Giorgia Meloni proprio per varare un dl Lavoro. Decreto che verrà presentato ai sindacati domenica 30 aprile. Una mossa a effetto – duplice – quella del governo, che dà attenzione ai sindacati e che manda un messaggio agli italiani: l’esecutivo Meloni non conosce riposo.
Detto questo, l’emergenza lavoro non sarà certo risolta dal decreto del governo o da un’intesa con quegli stessi sindacati che da tempo avallano scelte che hanno impoverito il mercato del lavoro, tagliato il potere d’acquisto dei salari, precarizzato l’occupazione. Tornando alla settimana-chiave, l’articolo 1 della Costituzione recita: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. Un nesso inscindibile dunque tra libertà e democrazia, tra coesione sociale e ricchezza della nazione: il lavoro. In questo contesto osserviamo che da un lato il governo Meloni si appresta a varare un decreto che dovrebbe semplificare il ricorso del contratto a termine dopo il Decreto dignità, discutere il reddito di inclusione (per “smantellare” il reddito di cittadinanza, misura bandiera del M5S); dall’altro, i sindacati hanno già avviato una serie di iniziative per chiedere, e magari ottenere, dall’esecutivo un netto cambiamento delle politiche industriali, economiche, sociali e occupazionali. A partire da una maggiore tutela dei redditi dall’inflazione e l’aumento del valore reale delle pensioni e dei salari, partendo dal rinnovo dei contratti nazionali dei settori pubblici e privati. Strettamente connesso al potere d’acquisto dei salari è il cuneo fiscale. Le misure relative saranno illustrate dal governo all’incontro con i sindacati.
Intanto, il segretario Uil Pierpaolo Bombardieri ha annunciato la richiesta “al governo di interventi concreti per rendere il mondo del lavoro più sicuro, soprattutto per i giovani. Vedremo cosa ci sarà nel decreto, per ora siamo preoccupati per le misure che il governo sta per prendere”. “Sarebbe utile che il governo non pensasse al lavoro solo il primo maggio, ma tutti gli altri giorni dell’anno”, ha detto il numero uno della Cgil, Maurizio Landini. “Non abbiamo un problema di stranieri che vengono in Italia, ma di italiani che se ne vanno per mancanza di lavoro. La povertà non si risolve cancellando il reddito di cittadinanza”, ha fatto presente Landini. “Un segnale di attenzione e di rispetto del ruolo del sindacato la convocazione del premier Meloni domenica alla vigilia del varo da parte del governo di alcuni provvedimenti importanti su cuneo fiscale, reddito di inclusione e misure di avviamento al lavoro. La Cisl è pronta a confrontarsi nel merito con le nostre proposte come abbiamo sempre fatto”, ha dichiarato segretario Cisl Luigi Sbarra. Dal canto suo, l’opposizione parla di operazione di pura propaganda. Il presidente dei senatori Pd Francesco Boccia ha obiettato che non bastava convocare i sindacati un giorno prima del varo del decreto. Ma bisognava “convocare la conferenza Stato Regioni perché è in capo alle regioni mettere a terra le regole attuative del decreto. Siamo a tre giorni dal 1° maggio e le Regioni non sono state ancora convocate”.
Più in generale non si può non obiettare che anche quegli stessi sindacati che si mobilitano per la Festa dei lavoratori poi avallano contratti a dir poco anti-sindacali. Come riporta Radio Popolare, esiste un contratto nazionale multiservizi, firmato da Cgil e Cisl, che prevede una paga oraria di meno di quattro euro l’ora, per essere precisi 3,96 euro. Tale contratto è balzato agli onori della cronaca perché un giudice ha accolto il ricorso di una donna, guardiana in un magazzino, che prendeva quella misera paga, per un totale di 640 euro netti al mese, risultando ampiamente al di sotto della soglia di povertà. Il giudice del lavoro ha stabilito che non si può lavorare a tempo pieno e guadagnare una paga al di sotto della soglia di povertà, prevedendo un risarcimento pari a 840 euro al mese, cioè quello necessario per superare la soglia di povertà secondo i parametri Istat. Ecco, se un sindacato come la Cgil controfirma un contratto del genere, c’è un problema che va ben oltre il mancato accordo con il governo sul dl Lavoro.
Detto questo, l’emergenza lavoro non sarà certo risolta dal decreto del governo o da un’intesa con quegli stessi sindacati che da tempo avallano scelte che hanno impoverito il mercato del lavoro, tagliato il potere d’acquisto dei salari, precarizzato l’occupazione. Tornando alla settimana-chiave, l’articolo 1 della Costituzione recita: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. Un nesso inscindibile dunque tra libertà e democrazia, tra coesione sociale e ricchezza della nazione: il lavoro. In questo contesto osserviamo che da un lato il governo Meloni si appresta a varare un decreto che dovrebbe semplificare il ricorso del contratto a termine dopo il Decreto dignità, discutere il reddito di inclusione (per “smantellare” il reddito di cittadinanza, misura bandiera del M5S); dall’altro, i sindacati hanno già avviato una serie di iniziative per chiedere, e magari ottenere, dall’esecutivo un netto cambiamento delle politiche industriali, economiche, sociali e occupazionali. A partire da una maggiore tutela dei redditi dall’inflazione e l’aumento del valore reale delle pensioni e dei salari, partendo dal rinnovo dei contratti nazionali dei settori pubblici e privati. Strettamente connesso al potere d’acquisto dei salari è il cuneo fiscale. Le misure relative saranno illustrate dal governo all’incontro con i sindacati.
Intanto, il segretario Uil Pierpaolo Bombardieri ha annunciato la richiesta “al governo di interventi concreti per rendere il mondo del lavoro più sicuro, soprattutto per i giovani. Vedremo cosa ci sarà nel decreto, per ora siamo preoccupati per le misure che il governo sta per prendere”. “Sarebbe utile che il governo non pensasse al lavoro solo il primo maggio, ma tutti gli altri giorni dell’anno”, ha detto il numero uno della Cgil, Maurizio Landini. “Non abbiamo un problema di stranieri che vengono in Italia, ma di italiani che se ne vanno per mancanza di lavoro. La povertà non si risolve cancellando il reddito di cittadinanza”, ha fatto presente Landini. “Un segnale di attenzione e di rispetto del ruolo del sindacato la convocazione del premier Meloni domenica alla vigilia del varo da parte del governo di alcuni provvedimenti importanti su cuneo fiscale, reddito di inclusione e misure di avviamento al lavoro. La Cisl è pronta a confrontarsi nel merito con le nostre proposte come abbiamo sempre fatto”, ha dichiarato segretario Cisl Luigi Sbarra. Dal canto suo, l’opposizione parla di operazione di pura propaganda. Il presidente dei senatori Pd Francesco Boccia ha obiettato che non bastava convocare i sindacati un giorno prima del varo del decreto. Ma bisognava “convocare la conferenza Stato Regioni perché è in capo alle regioni mettere a terra le regole attuative del decreto. Siamo a tre giorni dal 1° maggio e le Regioni non sono state ancora convocate”.
Più in generale non si può non obiettare che anche quegli stessi sindacati che si mobilitano per la Festa dei lavoratori poi avallano contratti a dir poco anti-sindacali. Come riporta Radio Popolare, esiste un contratto nazionale multiservizi, firmato da Cgil e Cisl, che prevede una paga oraria di meno di quattro euro l’ora, per essere precisi 3,96 euro. Tale contratto è balzato agli onori della cronaca perché un giudice ha accolto il ricorso di una donna, guardiana in un magazzino, che prendeva quella misera paga, per un totale di 640 euro netti al mese, risultando ampiamente al di sotto della soglia di povertà. Il giudice del lavoro ha stabilito che non si può lavorare a tempo pieno e guadagnare una paga al di sotto della soglia di povertà, prevedendo un risarcimento pari a 840 euro al mese, cioè quello necessario per superare la soglia di povertà secondo i parametri Istat. Ecco, se un sindacato come la Cgil controfirma un contratto del genere, c’è un problema che va ben oltre il mancato accordo con il governo sul dl Lavoro.
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