L’ ultimo film di Luca Guadagnino è stato trepidamente atteso come succede sempre con le pellicole trendy e ammiccanti di registi famosi.
Challengers segue il triangolo d’amore, ambizione e desiderio tra le giovani promesse del tennis Tashi Duncan (Zendaya) Art Donaldson (Mike Faist) e Patrick Zweig (Josh O’Connor).
Una storia di formazione ruvido, imbastardito dalla competizione atavica e dal bisogno di supremazia sul prossimo.
Assistiamo al racconto della loro relazione triangolare fatta di dolcezza e ferocia, di liti dolorose, fratture, scherzi dell’ego, infedeltà, attraverso una serie di flashback e flashforward rivelati in improvvisi cambiamenti di acconciatura e di abbigliamento: Art e Patrick nel 2006, tardoadolescenti, compagni di accademia abbagliati da Tashi, fino al cruciale match del 2019 sul campo di New Rochelle, New York, tredici anni dopo, dove si ritrovano estranei, nemici, con due vite agli antipodi.
Art e Tashi si sono sposati, sono ricchi, hanno una figlia e girano il mondo nel tentativo di recuperare la brillante carriera agonistica di lui.
Patrick invece è un giocatore ancora talentuoso eppure da anni inspiegabilmente bloccato nei tornei di secondo livello.
Anche se è lo show di Zendaya – completamente e innegabilmente – Faist mantiene la promessa della sua interpretazione di Riff nel remake di West Side Story del 2021: rende Art il tenero bravo ragazzo coi capelli rossi (impossibile non cogliere il rimando a Jannik Sinner) innocuo e insipido ma con una vena assassina che viene fuori quando meno te lo aspetti. O’Connor, meglio conosciuto come il giovane principe Carlo in due stagioni di The Crown, riesce bene a sembrare americano e a interpretare la parte del cane randagio privo di etica, sempre alla ricerca di un escamotage per superare Art, conquistare Tashi e così facendo affermare il proprio valore.
In questo psicodramma pop, pieno di brand costosi e porta racchette logate Head, Babolat e Wilson, c’è molta pelle, sudore, primi piani di cosce muscolose e sguardi lussuriosi e risentiti.
Bellissima la drammatizzazione che Guadagnino fa del tennis, che scompone e ricompone come un cubo di Rubik grazie a una regia originale e creativa.
Pazzesca e ipnotica anche la colonna sonora elettronica, firmata da Trent Reznor e Atticus Ross, che illustra e commenta gli alti e bassi della relazione tra i tre protagonisti. Reznor e Ross avevano già composto le musiche del precedente film di Guadagnino, Bones and all, ma è questo il loro capolavoro.
Ciò che è interessante e davvero riuscito nello spasmodico desiderio che è il leitmotiv del film, nell’erotismo sublimato che non vediamo mai concretizzarsi del tutto, è come in Challengers non sia il tennis a essere una metafora del sesso ma è invece il sesso a essere una metafora del tennis.