Economia

La Cgia fa a pezzi la retorica sull’evasione: “Altro che furbetti”

di Giovanni Vasso -


Fermi tutti: vuoi vedere che ci siamo raccontati sempre una sciocchezza e che gli italiani, altro che popolaccio di furbetti, sono semplicemente ipertassati? La Cgia rompe la solita narrazione colpevolista e rivela l’inghippo: se il concordato fiscale promosso dal governo non sembra aver avuto chissà quale successo, ebbene ciò sarebbe dovuto al fatto che i dati sull’evasione in possesso al Mef sarebbero completamente sbagliati. E sballati.

Altro che pochi controlli, la Cgia snocciola i numeri e fa sapere che “tra lettere di compliance, accertamenti e verifiche, nel 2023, sono state interessate ben 3,7 milioni di attività pari al 65% circa del totale”. In pratica, due partite Iva su tre sono già state interpellate o, come si dice con orrido neologismo “attenzionate”, dalle autorità fiscali di questo Paese. Ma il problema è nel manico. Anzi, nei dati. La Cgia smentisce i numeri del Mef che stimerebbe in circa 82,4 miliardi di euro il “bottino” (mancante) dovuto all’evasione. Gli analisti partono dall’assunto per cui l’imposta più evasa “sarebbe l’Irpef in capo ai lavoratori autonomi, per un importo pari a 29,5 miliardi di euro che corrisponde ad una propensione al gap nell’imposta che da anni sfiora stabilmente il 70%”. Una ricostruzione inattendibile per la Cgia: “Le dichiarazioni delle partite Iva del Nord (praticamente artigiani e commercianti), nell’anno di imposta 2021 hanno dichiarato mediamente 33mila euro lordi. Il 70% di queste è composto dal solo titolare dell’azienda, che lavora da solo. Se, come sostengono i tecnici del Mef, queste attività evadono quasi il 70% dell’Irpef, quanto dovrebbero dichiarare se fossero ligi alle richieste dell’erario? Il 120 per cento in più, ovvero poco più di 74 mila euro all’anno”. Una cifra ritenuta impossibile: “Come possono raggiungere una soglia di reddito così elevata se la stragrande maggioranza lavora da solo, quindi è poco più di un lavoratore dipendente, e al massimo può lavorare 10-12 ore al giorno?”. Poi c’è la questione delle partite Iva al regime dei minimi. Si tratta di 1,8 milioni di soggetti, “una buona parte delle imprese agricole, i professionisti privi di autonoma organizzazione e il settore dei servizi domestici”. “Se fosse considerata anche la loro evasione – si chiedono dalla Cgia -, che picco toccherebbe l’infedeltà fiscale degli autonomi? È  evidente che questi dati sono poco attendibili, ma quello che è altrettanto insopportabile che molti opinionisti radical chic utilizzino queste stime per accusare gli autonomi di essere un popolo di evasori”. Per questo la lettura che la Cgia fa del concordato è feroce: “Il patto è basato su questi presupposti: il contribuente dichiara per il biennio 2024-2025 qualcosa in più e conseguentemente paga un po’ più di quanto ha versato in passato, consentendo all’erario di incassare immediatamente la liquidità necessaria per coprire la riduzione delle aliquote Irpef al cosiddetto ceto medio”. Una vittoria di Pirro o, se preferite, una partita (di giro) in cui il Fisco vince sempre in un Paese di (molto) presunti evasori.


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