Economia

C’è una soluzione alla crisi europea, ma Bruxelles si rifiuta di considerarla

di Gaetano Masciullo -


In un’epoca in cui l’Europa si trova a dover affrontare le conseguenze di politiche centraliste e regolamentazioni economiche sempre più stringenti, risuona con particolare forza il richiamo a un ritorno ai principi di vera libertà e autonomia. I recenti discorsi di liberalizzazione, come quello tenuto presso il Parlamento Europeo da Donald Tusk (22 gennaio 2025) o presso il 4° vertice UE sulla salute dal commissario Olivér Várhelyi (28 gennaio 2025) evidenzia una crescente volontà di allontanarsi da una burocrazia che soffoca l’iniziativa privata e limita la libera espressione delle identità nazionali e locali.
Nonostante questi afflati di libertà, la classe politica europea, nel suo complesso, appare troppo cieca, troppo ostinata a perseguire politiche che, lungi da risollevarla dinanzi alla rapida crescita di potenze come Stati Uniti, Cina, India e Giappone, spinge i popoli europei ancora di più nel baratro.

Giusto per dare qualche dato in grado di darci un’idea circa la gravità della situazione attuale: subito dopo la crisi finanziaria del 2008, la dimensione economica degli Stati Uniti era equiparabile a quella dell’Eurozona, mentre oggi il divario si è notevolmente ampliato, con un’economia americana che ha raddoppiato quella europea. L’Europa è rimasta sostanzialmente ferma. Questo dato non è solo statistica, ma rappresenta una ferita aperta nel tessuto socio-economico del nostro continente, che ha molto da recuperare se desidera tornare a porsi tra le prime potenze mondiali.
L’applicazione indiscriminata di regolamentazioni che intaccano il diritto alla proprietà e all’iniziativa imprenditoriale ha contribuito a indebolire quella che dovrebbe essere una grande famiglia di popoli unita nella diversità. Oggi vediamo, invece, una realtà politicamente centralizzata e al contempo socialmente frammentata, e ciò principalmente a causa di interventi governativi che, sotto la maschera della sicurezza, hanno limitato la possibilità di sperimentare forme di organizzazione più autenticamente federali.

A complicare ulteriormente il quadro, sono recentemente emerse notizie preoccupanti circa le pressioni effettuate da alcuni governi europei per modificare le regolamentazioni sull’intelligenza artificiale: una delle tante promesse (o minacce, che dir si voglia) disattese dell’Unione. È infatti trapelato che diversi governi europei, con la Francia in testa, abbiano spinto per una modifica del quadro normativo sull’IA che, lungi dal tutelare la libertà dei cittadini, favorisca una maggiore sorveglianza statale. Questa mossa, che va ben oltre il mero interesse per l’innovazione tecnologica, si configura come un tentativo di accrescere il potere a discapito delle libertà, un principio che va in diretta opposizione al rispetto inalienabile dei diritti naturali dell’uomo, tra i quali troviamo il diritto alla vita, alla proprietà e all’iniziativa imprenditoriale. Tali diritti fondamentali non possono essere sacrificati sull’altare di una burocrazia che pretende di sapere ogni cosa e di guidare ogni aspetto della vita dei cittadini.

Il richiamo alla necessità di una visione rinnovata dell’Europa non deve essere inteso come un rigetto del progetto europeo, bensì come un invito a ripensarlo su basi più autenticamente federali, in cui ogni popolo abbia il diritto, riconosciuto anche giuridicamente, di decidere del proprio destino e, se lo ritiene opportuno, di procedere alla secessione in un contesto di rispetto reciproco e collaborazione.
Il modello federale dell’Europa rappresenta ancora oggi l’unica via d’uscita dalla spirale centralista che ha indebolito il tessuto politico ed economico del nostro continente. Tale modello, che riconosce la diversità delle identità e delle autonomie, può infatti permettere un coordinamento centrale che garantisca, con un intenzionalmente minore interventismo e una maggiore fiducia nelle capacità dei singoli, il rispetto dei veri diritti, quelli naturali.

Cittadini e politici impegnati sono chiamati a riflettere profondamente su questo bivio: continuare su una strada che conduce a un controllo sempre più centralizzato e paternalistico, o abbracciare una visione di Europa in cui la libertà individuale e la responsabilità locale siano al centro di ogni decisione. In un mondo in cui le sfide globali richiedono una risposta coordinata, non si può però dimenticare che il vero progresso non avviene mediante imposizioni esterne, ma attraverso l’iniziativa libera e consapevole di ogni comunità. Le recenti dinamiche in ambito tecnologico e normativo rappresentano un grave monito: non possiamo permettere che l’innovazione diventi strumento di sorveglianza e controllo, ma deve essere al servizio della libertà, dell’autentico progresso, della realizzazione umana.

L’appello a riconsiderare la visione europea si configura come un invito a ritrovare quella fiducia nel potere dell’iniziativa privata e nella saggezza dei popoli, valori che, se adeguatamente riconosciuti e tutelati, possono restituire all’Europa la forza economica e politica che le spetta. Forse è giunto adesso il momento di riformare l’Europa in una maniera tale che sappia conciliare il principio federale con un coordinamento centrale rispettoso delle autonomie, che rappresenti un baluardo contro le derive autoritarie e centralist, e restituisca a cittadini e imprenditori la possibilità di esprimere il proprio potenziale produttivo, in linea con i più alti valori della nostra (autentica) tradizione occidentale.


Torna alle notizie in home